Chiambretti, da persecutore a vittima di Curzio Maltese

Chiambretti, da persecutore a vittima Chiambretti, da persecutore a vittima Inseguito, ride verde: «Facciamo tutti schifo. Io compreso» VORREI dire al Saddam Hussein della canzone italiana, Adriano Aragozzini, che chiederò al presidente Cossiga la grazia per Jo Squillo. Voi l'avete eliminata perché ha cantato prima. Ma io la canzone di Pupo l'ho sentita tre anni fa». Sono le 12,30. Piero Chiambretti irrompe nella conferenza stampa. Il rito si anima. Applausi, risa. Vai, Piero. «Parliamo dei primi trombati: Jo Squillo, Fuscagni, il sindaco Pippione». Bravo, bravo. «E tu, Aragozzini? Sei l'ultimo dei demitiani al potere. Avevi detto no a Bixio, no alla Parietti. Accetti tutto, ma resti sempre qui». Aragozzini abbozza («Ma non sono più il patron...»). Il portalettere incalza: «Senti, ma non ingabbieranno anche te? Chi ti difende?». Aragozzini: «L'avvocato Biondi». «Ma chi l'onorevole liberale? Ma allora sei rovinato». La platea di giornalisti esplode: Piero, Piero. E' l'unico successo di critica del Festival. «Dai, spegni, basta», ordina Piero al cameramen. E si spegne anche lui, Chiambretti. Livido, rigido, esequiale. Stinto e liso come la divisa da postino che indossa. Perché mai? «Sono stanco, stufo, nauseato Qui non ci d to. Qui non ci dovevo venire. La colpa è tutta sua» dice e indica Tatti Sanguineti: manager, autore, demiurgo, factotum. Che gli risponde con uno sguardo paterno, colpevole. «Ha ragione, non ce la fa più. Non dorme da 48 ore». Da due giorni il terribile contrappasso di un festival chiambrettiano si è abbattuto sul povero portalettere Piero. Da persecutore a vittima. Da terrorista a terrorizzato. Da cacciatore a preda dei cento, mille repli¬ canti delle tv locali che lo inseguono per un parere, un'intervista, un «facci ridere», per porgergli una cartolina, la loro. Che trovata. Ma soprattutto incalzato, come in un film di John Landis, dall'esercito degli zombies: cantanti, stelline, presentatori, assessori, vigili, discografici, vecchie glorie. Che lo assediano, lo palpano, lo trascinano. Pronti a rivelare i propri miserabili crimini, ansiosi di farsi estrarre le viscere in diretta, disposti a la¬ sciarsi sorprendere in camera da letto con l'amica. In cambio di un briciolo di audience, uno sputtanamento live. «E' orribile» dice Piero più tardi in albergo, mentre cerca di ordinare le sue opinioni di clown davanti a un'insalata russa. «Quelli che dovrei attaccare son ben felici di fare i bersagli» Sospira. «Mi piacevano i festival di una volta. Erano la vacanza di una televisione grigia, ufficiale. Oggi Sanremo è diventato il posto più futile e faticoso d'Italia. Eppoi ci sono già tutti. Oggi ho incrociato sette troupes della Rai e altrettante Fininvest». S'aggira, intorno al cadavere del Festival, il vero Mostro di Sanremo: la televisione. Un serial killer. Trasformista. Ha la faccia di quelli mandati da Lubrano e le gambe delle «tate» di Cutugno, la barba rossa di Ferrara e l'occhiale di Marzullo, il cipiglio del mezzobusto Tg3 e lo sguardo demente dei compagnucci di Ippoliti. Manca soltanto Samarcanda, che secondo Chiambretti «avrebbe tanto ma¬ teriale», qui nella Nashville italiana, tra l'Ariston e il Palazzo di Giustizia, sede del vero controfestival. «Che ci faccio io qui?» ripete Chiambretti. L'idea di partenza era di usare la camuffata passerella elettoral-canterina per fare aperta propaganda politica. In favore di un candidato vero, il senatore Guido Gerosa. Spiegazione? «Sta nel psi ma non conta nulla, è l'addetto a Beautiful». Gli slogan: «Il socialista dal volto umano», «Il più debole dei potenti». Respinto. «Sono destinato a frequentare democristiani. Sono gli unici che fanno spettacolo. Sgomitano, si difendono, scappano. Ma sono vivi. I rossi, non esistono. Deporessi, deprimenti. Quelli del Pds tanto quanto quelli di Rifondazione». Nel mirino ora ci sono Mario Merola e l'ex sindaco Leo Pippione, inquisito, l'unico che a Sanremo abbia sbattuto in faccia a Chiambretti il cancello della villa. Ma non c'è tempo. Domani il piccolo Ulisse dello sfascio italiano torna al Palazzo per l'ultima missione, l'ideale meta di tanto vagabondare tra le macerie repubblicane: Francesco Cossiga. «Al presidente porto il disco di Jo Squillo, per avere la grazia, un bavaglio e un altro regalo, ma non so ancora quale». La guerra di Piero si chiuderà lì, sul sacro Colle. Per i seguenti motivi: fine del contratto, sfinimento degli autori, assenza di un Nemico. «Sotto elezioni l'Italia somiglia a Sanremo. I politici ormai mi cor rono incontro». Chiambretti tor na sabato, per la serata finale. Ma forse non entra in diretta «In fondo, farei un servizio a RaiUno. Qui l'assenza di un co mico si sente. Non ci sono nep pure la Fenech e Occhipinti». Nel frattempo le camere della troupe chiambrettiana verranno occupate da quelli di «Chi l'ha visto?», a caccia del mostro di Sanremo «Spero che abbia già firmato per TeleMontecarlo» ride verde Pie ro. «Facciamo tutti schifo. Chiambretti compreso». Curzio Maltese Piero Chiambretti un postino a Sanremo e la psicologa Alessandra Graziottin 1 -^§jh ^ ^

Luoghi citati: Ferrara, Italia, Pupo, Sanremo