«Dietrofront», tutte le volte del Presidente
«Dietrofront», tutte le volte del Presidente «Dietrofront», tutte le volte del Presidente Da Curdo al caso Gladio: le frenate dell'ultimo momento ROMA. Sottomettersi o dimettersi. Sarà più o meno falsa e infondata l'ipotesi di un Cossiga che cambia idea, anzi che è costretto (se soumettre ou se démettre: delle due l'una) a cambiarla per l'intervento di Andreotti. Sarà pura fantasia, come afferma Palazzo Chigi. O saranno «torbide manovre», per dirla con il Quirinale. Resta da capire perché ci abbiano creduto in tanti. E la prima risposta che viene è che quella ricostruzione una qualche plausibilità ce l'aveva. Se non altro sulla base di precedenti. Antichi, recenti e recentissimi. Di auto-sospensione non è la prima volta che si parla. La paroletta, anche se dai più ritenuta priva di effettivi riscontri costituzionali, ricorre dal dicembre del 1990. A una soluzione del genere si accenna per la prima volta in una lettera consegnata ad Andreotti dal segretario della presidenza della Repubblica in occasione del con¬ flitto su quella commissione pensata dal governo per appurare la legittimità di Gladio. Allora è il presidente del Consiglio a cambiare idea e ad annullare la commissione. . Ma^ di auto-sospensione si torna a discutere, sia pure sottovoce e con minore intensità, alla fine di gennaio di quest'anno, dopo che i giornali pubblicano la bozza della relazione del presidente della commissione Stragi Gualtieri, sempre su Gladio. Sembra sia stato il segretario liberale Altissimo a distogliere Cossiga dal ricorrere a quel gesto. L'auto-sospensione però - con la sua variante «camuffata» della supplenza al presidente del Senato - entra definitivamente nel novero delle cose possibili. Tanto più possibili, d'altra parte, se solo si pensa alle molte occasioni in cui, obiettivamente, con o senza lo stop di Andreotti, Cossiga ritorna sui suoi passi. Le tante volte, insomma, in cui apre un fronte e poi si riti- ra. Minaccia e si adegua. Insulta e fa la pace. Promette qualcosa che successivamente non vuole o non può manterere. L'intervista televisiva sulla patria, per esempio: «ritirata» all'ultimo momento. L'offensiva d'agosto sulla grazia a Curcio: conclusasi con il Presidente che si «adegua» al no del gover¬ no. La visita a Vipiteno, già fissata nei dettagli: annullata in extremis per via dei sussulti autonomistici altoatesini, con Cossiga che, diplomaticamente, denuncia «affaticamento e un certo dolorino alla schiena». Si possono spiegare sia con motivazioni tattiche che con pressioni del governo, i dietrofront e le retromarce di Cossiga. A volte dettati anche da umani ripensamenti. E a quest'ultima categoria appartengono i ripetuti (e violatissimi) impegni al silenzio. Comunque è abbastanza ricca l'antologia dei «vorrei ma non posso» presidenziali. C'è quello in occasione del ventilato passaggio dell'esercito federale serbo a Trieste. C'è il proposito di non firmare la proroga per i lavori della Commissione Gualtieri. E c'è l'impegno à non prolungare di due anni il lavoro dei giudici che indagano sulle stragi. Tutte intenzioni che rientrano. C'è la rinuncia, improvvisa, a fare un vero messaggio di fine anno: appena 3 minuti contro i 20 e più previsti. Anche in questo caso c'è chi spiega la scelta con un intervento di Andreotti. E sempre sul piano della comunicazione - esternazioni promesse e poi non concesse - è difficile dimenticare il mancato confronto tv con De Mita. Mentre non è noto - ma è sicuro che Cossiga aveva aperto le porte del Quirinale al postino Chiambretti, ma due ore prima dell'appuntamento ha disdetto l'incontro. Come se non bastasse, negli ultimi giorni, è sensibilmente aumentato il ritmo dei ripensamenti. La commissione di storici? Annullata. La visita ufficiale alla Malga di Porzus? Non si fa più. L'udienza ai Cocer dei Carabinieri e della Guardia di Finanza? Soppressa, cassata, abrogata. E nei comunicati l'aggettivo «inopportuno» diventa piuttosto familiare. Filippo Ceccareltè Renato Curcio
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