Con Ry Cooder nel piccolo villaggio

Con Ry Cooder nel piccolo villaggio I DISCHI Con Ry Cooder nel piccolo villaggio UNA vita al veleno. Ogni giorno diamo del tu a miasmi cittadini e cicute morali. All'allegria diamo del lei. Come sull'ascensore del condominio. Se si ride, 10 si fa alle spalle di qualcuno. Pure in musica continuiamo a farci del male, a soffrire, a denunciare. Soprattutto con quella pop, specchio più prossimo allo stile dei tempi. Non che si debba essere sempre frivoli o peggio goliardi, ma non è nemmeno normale che le canzoni debbano essere sempre sassi da scagliare o digerire E' questione di atteggiamenti, non di argomenti. Si è mai fatto caso alle facce dei cantanti sui palcoscenici? Come in una telenovela sono una galleria di smorfie dolorose e di tristezze d'amore, drammi e rabbie. Pochi scherzano, divertendosi e divertendo. Non che sia fitto 11 carnet delle gioie in questo mondo, però perché non guardare la realtà anche come una bottiglia mezza piena? L'eventuale complesso della musica leggera non lo si supera zavorrando ogni argomento, a volte anche con cinismo commerciale. Piccole speranze crescono però quando, all'improvviso, arrivano dischi come «Little Village» (Reprise, 1 Cd, Lp, Me). Un quartetto di celebrità rock si mimetizza dietro questo sconosciuto gruppo americano, Little Villagè, un nome che già evidenzia il carattere speciale di un sodalizio musicale. Ry Cooder, John Hiatt, Jim Keltner, Nick Lowe sono i moschettieri rock coinvolti. L'idea di questo supergruppo è nata l'anno scorso durante le registrazioni per l'ultimo album di Hiatt, l'ottimo «Bring te family». Affinità culturali, ma in particolare un clima sereno di collaborazione e piacere al di là dell'impegno, hanno contribuito alla prosecuzione dell'avventura collegiale. E il filone dei supergruppi prolifera, queste società di mutuo soccorso probabilmente ideali per recuperare entusiasmi e creatività, per sfuggire a ruoli diventati vincolanti. Nei Little Village, Ry Cooder porta il suo originale bagaglio blues, Hiatt i suoi amori tecnologici, Keltner e Lowe una vena di rock sanguigno. Il loro suono è un timballo con tutti questi ingredienti. Un gran livello di registrazione esalta uno stile secco, genuino, che si basa su un originale intreccio di chitarre, un moderno tentativo di ritorno alla naturalezza del rock. Undici brani che sprizzano allegria, ironia, piacere. Qualche composizione non sarà un esempio di I originalità, ma le riscatta la I bra\ bravura dei musicisti, l'inte¬ sa, l'entusiasmo. L'album si apre con il brillante ed esplosivo funk di «Solar sex panel». Appassiona «Big love», blues d'atmosfera che Cooder scava per 6 minuti profondo, sinuoso, invitante. Fa immaginare Kelly Le Brook che danza. Poi seguono gli echi di New Orleans di «Th Action», la metafora boogie auto/sesso «She runs hot», il divertente beat alla Cars di «Take another look», la ballata texmex di «Do you wont my job», il country di «Fool who knows», il gustoso misto tra sapori gospel e ritmo meccanico di «Don't go away mad». Non si può parlare di capolavoro, ma di un disco divertente, che trasmette allegrie. Avrà contribuito l'ambiente della dolce California, ma ci auguriamo che lo spirito sereno del quartetto si diffonda. Sull'onda della positività, in versione solitaria, si propone anche Luka Bloom, a giudicare dal suo piacevole e curioso viaggio con «The acoustic motorbike» (Reprise, 1 Cd, Lp, Me). Con quel nome da romanzo di Joyce, Luka Bloom - bella voce, gran stile ed eleganza - ci trasporta in un'avventura romantica dolce e serena. Per farlo ha trascorso mesi in Irlanda, girovagando e pedalando in regioni come County Clare, Kerry, Dublino. E le dodici canzoni di questo album sono fiorite nelle atmosfere genuine di questi luoghi, lontanissimi dalle luci e dalle ombre di New York che avevano ispirato «Riverside», album d'esordio di Bloom. Gradevole risulta l'originale Celtic Rap creato in «The acoustic motorbike». L'incalzante «I need love» con gran assolo di violino finale, la gustosissima filastrocca che dà il titolo a tutto il disco, la romantica e cullante «Can't help falling in love», il canto d'amore dalle radici gaeliche «Be well». Un bel gruppo di musicisti irlandesi garantiscono un arrangiamento consone ai quadretti dipinti. Nelle canzoni c'è un po' di Lou Reed, un po' di U2, ma i toni drammatici o epici qui non abitano di certo. Alessandro Rosa >sa |

Luoghi citati: California, Dublino, Irlanda, New Orleans, New York