Robert De Niro criminale mistico

Robert De Niro criminale mistico Berlino: al FilmFest presentato «Cape Fear» di Scorsese, un pezzo di violenta bravura Robert De Niro criminale mistico Memorabile psicopatico BERLINO DAL NOSTRO INVIATO Lasciamo stare la polemica sulla violenza spettacolare che «Cape Fear» di Martin Scorsese va suscitando: il film, accolto alla prima proiezione al FilmFest con tanti applausi quanti fischi, è soprattutto uno straordinario pezzo di bravura. Non importante né interessante per quel che racconta, la sedicesima opera di Scorsese (e settima con De Niro protagonista), eseguita su commissione di Steven Spielberg e della sua società Amblin Entertainment, girata in Panavision anamorfico per grande schermo, sembra quasi una sfida, un gioco di maestria, una saggio di regia dell'autore a quarantotto anni. Scorsese prende «Cape Fear» (Il promontorio della paura), un vecchio celebre film del 1962 diretto da J. Lee Thompson, interpretato da Robert Mitchum, Gregory Peck, Martin Balsalm, tratto da un romanzo di John D. MacDonald pubblicato in Italia da Mondadori, e lo rifa: immettendo in una logora storia di minaccia e violenza da horror di serie B qualità, inventiva e raffinatezza visuale d'autore; permettendosi una parte finale ironico-grottesca; consentendo a De Niro di recitare uno dei suoi prediletti psicopatici, un personaggio memorabile quanto gli eroi negativi di «Taxi Driver) o di «Toro scatenato»; facendo comparire, come fantasmi d'una continuità nera, i tre citati interpreti del primo film; portando all'estremo ogni enfasi o eccesso preferiti dal pubblico contemporaneo, e cambiando le carte in tavola. L'ex carcerato De Niro, dopo aver passato quattordici anni in prigione per uno stupro barbaro, arriva in una cittadina della Carolina del Nord per vendicarsi del suo avvocato, Nick Nolte, responsabile d'aver occultato un documento che avrebbe potuto forse far assolvere il cliente o ridurgli la pena; terrorizza, ricatta, brutalizza l'avvocato, sua moglie Jessica Lange, la loro figlia quindicenne Juliette Lewis; vanifica con l'astuzia e la violenza ogni tentativo legale o illegale dell'avvocato per difendere se stesso e i suoi; e alla fine viene sconfitto. Su questa trama ben nota s'accumulano dettagli tremendi. De Niro, che con la malignità, la pertinacia, l'energia e le infinite risorse del Male, in carcere ha imparato a leggere, è diventato esperto di legge, ha fatto tanto body building da trasformare il proprio corpo in una possente macchina di vendetta e ha letto la Bibbia abbastanza da sentirsi investito d'una missione redentrice, ripugna solo a vederlo: più che per la pelle ricamata di tatuaggi («la vendetta è mia», «il tempo del vendicatore»), per la bestialità malvagia, la volgarità violenta, la pazzia mistica che esprime. Infatti, in crescendo: uccide il cane dell'avvocato; seduce la ragazza con cui l'avvocato flirta, e la stupra strappandole con un morso un pezzo di guancia, picchiandola fin quasi a ammazzarla; seduce con discorsi misticosessuali la figlia adolescente dell'avvocato, e ne turba la moglie parlandole dei tradimenti coniugali; sconfigge da solo tre picchiatori incaricati di pestarlo, ma porta in tribunale l'avvocato responsabile d'averli assoldati e vuole farlo espellere dall'Ordine professionale; strangola a morte la cameriera di casa, e il detective privato assunto dall'avvocato per prenderlo in trappola; mena calci in faccia; si prepara a violentare la ragazzina davanti ai genitori. Soltanto il caso mette fuori gioco il Male: ma intanto la bella famigliola non s'è mostrata legittima rappresentante del Bene, madre e figlia si son lasciate attrarre dal Male, il padre s'è ab- bandonato all'illegalità. Tanta violenza viene in certo modo irrisa dallo stile ironicamente «pompier» del film: musica tonitruante, squilli di tromba, cieli tempestosi attraversati dal lampeggiare di fulmini o di fuochi artificiali, mare in burrasca, immagini raccapriccianti sullo schermo della tv sempre accesa, battello squassato dalle onde nella lotta finale, il criminale immortale che rialza sempre la testa, inquadrature piene di colore rosso co lore rosso come cesura, repentine immagini dei personaggi in bianconero solarizzato. La minaccia e il sangue diventano in certo modo un pretesto per la maestria cinematografica di Scorsese: ritmo concitato e hi d violento, macchina da presa vertiginosamente dinamica, inquadrature costruite come quadretti da fumetto con grandi primi piani e sfondi remoti, zoom continui, effetti sorprendenti. Bravissimo: chissà se ne valeva la pena. Lietta Toi nabuoni ! Nella foto grande a sinistra Robert De Niro e Nick Nolte in una delle scene più violente del film. Sotto Nolte e Jessica Lange Qui accanto De Niro e i suoi tatuaggi '

Luoghi citati: Berlino, Italia, Mondadori