Il filosofo esplora Dio di Sergio Quinzio

Il filosofo esplora Dio La teologia dopo Nietzsche Il filosofo esplora Dio E| molto difficile dubitare / che la nostra è l'età del nichilismo, nella quale ha luogo il declino di —.—logni certezza: prima, o ultima, quella di Dio. Per secoli, anzi per millenni, i filosofi hanno filosofato, più o meno tutti, intorno a Dio. Ma dopo il «Dio è morto» proclamato da Nietzsche, e dopo Heidegger, è ancora possibile una «teologia filosofica»? Una teologia filosofica, e cioè il «problema di Dio» inteso come il cuore stesso, il problema essenziale della filosofia? Sul sentiero, o nel deserto, di questa impervia domanda ha percorso un impegnativo cammino il filosofo tedesco Wilhelm Weischedel, scomparso nel 1975, di cui l'editrice II Melangolo sta traducendo l'opera fondamentale: // Dio dei filosofi. Il sottotitolo è «Fondamenti di una teologia filosofica nell'epoca del nichilismo». Il secondo dei tre volumi nei quali è suddivisa la versione italiana è uscito lo scorso ottobre, mentre il primo era uscito nel 1988: il lettore italiano dovrà dunque ancora attendere, presumibilmente, per la terza e ultima parte, quella di carattere teoretico, con le conclusioni tratte dalla lunga ricerca storica. Ma il traguardo s'intravede già chiaramente nelle parti fin qui tradotte. Malgrado l'impressione di lontananza che dà il problema posto in astratto, un lavoro così imponente merita certamente attenzione, perché se il tentativo di Weischedel fosse fallito, allora resterebbero ben scarse speranze, per i filosofi, non solo di mantenere in vita la teologia filosofica, ma di conseguenza(come appunto pensa Weischedel) anche di mantenere in vita una filosofia che abbia un vero rapporto con la propria tradizione, che conservi cioè, tutto, lo stesso fondamentale orizzonte problematico. Poiché la domanda per eccellenza della tradizione filosofica è stata quella circa Dio, in questo caso la filosofia dovrebbe rinunciare a se stessa e dissolversi, o nel nichilismo o nella fede. Weischedel si dichiara profondamente consapevole della straordinaria difficoltà del suo tentativo: «Il tentativo di fondare una teologia filosofica rischia, nella sua radicalità, di naufragare senza risultati». Lo studioso tedesco nega infatti che si possa ritornare alle antiche certezze metafisiche. Se è o non è ancora possibile, in generale, «parlare di Dio entro l'orizzonte filosofico», questo lo si può decidere solo attraversandone gli esiti nichilistici, confrontandosi davvero con essi. Weischedel considera insomma la teologia filosofica estremamente necessaria e insieme estremamente problematica. Ci si potrebbe chiedere: necessaria per chi? Non per il nichilista, intanto, e neppure per l'uomo di fede. Forse solo per il filosofo, che vede minacciata la filosofia, o la sua idea di filosofia. 11 discorso di Weischedel è teutonicamente articolato e complesso. Comunque, il tragitto essenziale della sua ricerca si profila come il passaggio da una consapevolezza problematica (che è l'ineludibile eredità impostaci dal nichilismo) a un'interrogazione radicale (in assenza cioè di ogni certezza, di ogni presupposto) che ci porterà inevitabilmente a imbatterci nel anzi- Friedrich Nietzs che mistero. Inevitabilmente, perché secondo Weischedel il nostro interrogare è mosso dalla radicale problematicità delle cose, ed è dunque il mistero, in definitiva, la scaturigine di ogni problema. Il mistero sarebbe così, un po' paradossalmente, l'ultima decisiva risposta, quella che elimina ogni dubbio e non è più ulteriormente problematizzabile. Ma nello stesso tempo il Diomistero appare ridotto a motore del puro interrogare in quanto tale, della vana e interminabile fatica dell'uomo. Un'ambiguità piuttosto desolante. Lo stesso curatore dell'edizione italiana, Letterio Mauro, esprime riserve sui risultati del tentativo di Wilhelm Weischedel. Anche a me appare come un limite vistoso l'analisi concentrata unicamente su autori di area linguistica tedesca, e in particolare la conseguente assoluta esclusione di Kierkegaard (nonché il furtivo accenno fatto a Pascal, l'assenza di autori come Sestov, ma anche del tedeschissimo Hamann, concittadino e interlocutore di Kant). Il discorso sulla possibilità della teologia filosofica viene in sostanza fatto evitando proprio il confronto con i pensatori che ne hanno argomentato l'impossibilità. Il problema del filosofo tedesco è riproposto da Carlo Angelino nel recentissimo Religione e filosofia, anch'esso edito dal Melangolo. Anche in questo autore la certezza e il mistero si fondono e si fondano su un concetto di «Verità» che è ancora «Dio», ma in un senso molto diverso da quello tradizionale, e forse irriconoscibile. Come si può costruire una teologia che non sia più, come è stata in passato, a parte Dei, ma a parte hominisì Come cioè si manifesta Dio nell'orizzonte finito del pensiero mortale? L'audace risposta di Angelino è che Dio e morte coincidono: Gott als Tod e Tod als Gott, la morte è infatti il punto limite in cui la certezza e il mistero coincidono. Anche questo estremo approdo della concettualizzazione filosofica di Dio mi sembra, malgrado la lucidità del viaggio che a esso conduce, vuoto e inafferrabile, come, appunto, è la morte. Ma forse - almeno questo può apparire agli occhi di un credente - l'interrogazione dei filosofi su Dio non è così radicale come ritiene di essere. Presuppone, se non altro, che solo una «genuina penetrazione concettuale è in grado di portare alla luce la "verità" o la "non verità"» a proposito di Dio, a prescindere da qualunque fede religiosa (Angelino). Questo presupposto mi pare che a sua volta presuma la possibilità di un completo distacco dalla storia. Delle oltre seicento pagine che costituiscono le parti di carattere storico del weischedeliano Dio dei filosofi, meno di trrnta riguardano la «teologia filosofica nell'antichità» - cioè pagana, precristiana. Ciò mostra, ai miei occhi, che, anche in prospettiva filosofica, non si può parlare di Dio se non come di un concetto che si è storicamente sviluppato, o inviluppato, a partire dal Dio della rivelazione ebraico-cristiana, all'interno cioè di questo orizzonte. Sergio Quinzio Friedrich Nietzsche