Sbardella sale l'applauso della tribù

Sbardella, sale l'applauso della tribù I fedelissimi dello «Squalo» riuniti in un albergo romano, senza le bandiere de Sbardella, sale l'applauso della tribù L'obiettivo per il 5 aprile? 160 mila preferenze ROMA. Spremuta elettorale di Sbardella, ieri pomeriggio, in quel santuario della politica italiana che è l'hotel Midas, sulla via Aurelia. Strapiene di ceto popolare e moderato le sale «Smeraldo», «Topazio» e «Zaffiro», le stesse che 16 anni orsono videro l'inizio della leadership di Craxi. E che in questa gelida serata romana si sono aperte anche alla festosa irruzione del postino Chiambretti, peraltro chiamato ripetutamente dagli sbardelliani «Chiambretto». Comunque una prova del nove di popolarità per lo Squalo. Che si fa un po' aspettare e poi marcia, con un loden piuttosto militaresco, verso il podio accolto da entusiasti militanti che danno i numeri: «Vitto, 160 mila preferenze!». Risposta, al volo: aNun mettemo limiti». L'assessore capitolino (al Traffico) Edmondo Angele ha appena salutato i giornalisti con un cordiale e romanissimo «'tacci vostra!». L'ingresso in sala spegne quel diffuso rumore di sottofondo che prelude l'evento e di cui è possibile cogliere gli ultimi, si- gnificativi frammenti: «... Er diabete»; «...la risposta del ministero»; «...la discarica»; «Te saluto Micio-gatto». Niente inni, al Midas, niente scudi crociati, niente che possa dimostrare che si tratta di una riunione de. Altro che «patto Segni» o doppia lealtà: qui si sta semplicemente celebrando l'apoteosi del Capo, punto e basta. Assai più sbardelliana che democristiana, la comunità, la gemeinschafì di padri, figli, mariti, mogli, paesani e compari che si raccoglie - e si legittima - attorno all'onorevole prende il fiato e si carica per una dura campagna elettorale. Sul palco c'è il fior fiore dello sbardellismo antropologico. Il «monaco» Pietro Giubilo, l'ex sindaco che arrossisce sempre quando il leader parla di lui, attacca con un «Vittorio non ha bisogno di parole né di presentazioni» e conclude annunciando il suo auto-sacrificio (niente candidatura): «La nostra più grande soddisfazione è il successo di Vittorio». Poi c'è il breve saluto («E sottolineo "bre- ve"», fa Sbardella) del segretario romano Severino Lavagnini. Così breve che fa in tempo a dire che lui, Lavagnini, «è un amico che è stato vicino a Vittorio in tante battaglie». E se Dio vuole è la volta del presidente della Regione Rodolfo Gigli: «Se ho responsabilità amministrative, il merito o la colpa è dell'amico Sbardella», di cui loda «l'operato, l'impegno, l'intelligenza». Applausi di preparazione. Assorto in platea il fido «Giò» Moschetti, l'amministratore, che correrà al Senato. A richiesta smentisce voci di rappacificazione con Ciarrapico. Sempre in platea l'arzillo segretario di Giubilo nega freddezza con il Movimento popolare. Questo bagno di carismatico entusiasmo serve un po' a tutti perché il 5 aprile non si tratta solo di battere il capolista, ministro Marini, o di arginare la prevedibile esplosione elettorale di un concorrente come Marco RavaglioU, che è anche il genero del senatore a vita Andreotti. Non c'è solo l'annosa questione dell'eredità andreot- tiana. Stavolta - e con l'aggravante della preferenza unica - la scommessa di Sbardella sta tutta nella possibilità di far eleggere fedelissimi: oltre a Moschetti, il ciociaro Tuffi e il latinese Redi. E, nel collegio umbro-reatino, «il Barone», ossia quel personaggio fuori dell'ordinario (già fascista, esoterico, bordighista e collaboratore dei «Christeros» messicani) che risponde al nome di Maurizio Giraldi e che è un po' il suo consigliere ideologico. Alla tribù del Midas, su Marini, Sbardella regala parole maliziose e rassicuranti: «Ognuno prenderà i voti che ha meritato». Glissa sulle diatribe interandreottiane. Con toni quasi pasoliniani («i piccoli borghi») parla a lungo di quella «povertà» che la sua gente - per la verità non più tanto povera - ha conosciuto abbastanza bene. Lo applaudono persino quando sistema il microfono. E dopo se la cava anche con Chiambretti, anzi con «Chiambretto». Filippo Cecca rolli

Luoghi citati: Roma