IL FASCINO DELLA VIOLENZA
IL FASCINO DELLA VIOLENZA POLEMICHE SU SCORSESE IL FASCINO DELLA VIOLENZA MBERLINO ARTIN Scorsese non è venuto al FilmFest per accompagnare il suo film più brutale e sanguinoso, «Cape Fear» (Il promontorio della paura), ma se ne sta lì distratto e rilassato sullo schermo previsto per la conferenza-stampa via satellite: non s'è accorto d'essere già visibile (del resto, tutto avviene con quel ritardo di trenta-quaranta minuti che, dopo l'unificazione della Germania, pare diventato tipico dell'ex esattezza tedesca), sbadiglia un po', s'abbandona in poltrona, fa i piccoli gesti privati della solitudine, inconsapevole del divertimento di cinquecento giornalisti voyeurs. Poi si comincia, e arrivano le domande inevitabili: perché tanta violenza, doveva proprio insistere sui calci che pestano la faccia e su altri dettagli tanto raccapriccianti, c'era proprio bisogno che Robert De Niro risultasse così ripugnante, era proprio necessario che l'adolescente perseguitata si mostrasse attratta da lui lasciandosi toccare, baciare e infilare il pollice in bocca, lo sa o non lo sa che in Svezia è stata censurata la scena del film in cui De Niro, stuprando barbaramente una ragazza, le strappa via con un morso un pezzo di guancia e poi lo sputa? Risposte di Scorsese, altrettanto inevitabili: la violenza è uno stile, un genere, interessante come il melodramma; la violenza spettacolare rispecchia quella reale, e non c'è ragione di rappresentarla in modi estetici; il tema del film è appunto la fascinazione, la forza d'attrazione innegabile esercitata dal Male... Discorsi magari sproporzionati, per il rifacimento su commissione d'un vècchio film del 1962, che racconta la vendetta persecutoria e terrorizzante di un ex carcerato psicopatico contro il suo avvocato che non gli ha evitato quattordici anni di prigione e contro la famiglia di lui, bella moglie, figlia quindicenne; e che è soprattutto una prova di maestrìa cinematografica, un pezzo di bravura, un esercizio di stile concluso in chiave ironico-grottesca. Si son viste, al cinema e nella realtà, cose violente assai più crude e Lietta Tornabuonl CONTINUA A PAG. 2 SECONDA COLONNA
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