Salvato dagli spiriti e da Sciascia

Salvato dagli spiriti e da Sciascia Incontro con Enrico Morovich: il narratore fiumano pubblica un romanzo del '37 Salvato dagli spiriti e da Sciascia «Così mi hanno riscoperto, dopo gli 80 anni» GENOVA DAL NOSTRO INVIATO Per lui è tutta una storia di spiriti: spiriti slavi, che lo hanno ora protetto ora castigato. Per tutti gli altri è una curiosa vicenda letteraria, che sottolinea molte disattenzioni dei nostri critici ed editori, e soprattutto come è difficile vivere da scrittori. Enrico Morovich, 86 anni e barba bianca, sguardo sereno e portamento eretto, firma per noi nella sua casa di Chiavari la prima copia di Non era bene morire, un romanzo del '37 ora pubblicato da Rusconi: mostra una soddisfazione distratta, vagamente ironica. E' stato dimenticato per un tempo abbastanza lungo da poter guardare alla notorietà con un certo distacco. Gli piace giocare, e nascondersi: più di vent'anni fa, quando incontrò per caso quello che sarebbe diventato uno dei suoi più attenti studiosi, Bruno Rombi, negò con tutte le forze di essere uno scrittore, e di essere stato famoso. «Sono un ragioniere», sibilava a quel tipo che gli contendeva la stessa, fascinosa cassiera di un ristorante. Si arrese solo quando il nuovo amico-avversario gli portò il vecchio dizionario Vallecchi degli autori italiani. C'era scritto tutto: Morovich era stato uno dei giovani più interessanti che si raccoglievano intorno a Solario, e poi a La riforma letteraria di Noventa. I suoi racconti surreali, fantastici, tenebrosi e a volte luciferini erano il piatto forte di moltissimi giornali, dai più noti quotidiani italiani alla Gazzetta di Corfù. Poi le guerra lo aveva tagliato fuori: era rimasto intrappolato a Fiume, la sua città natale, ormai in territorio jugoslavo, da cui venne via solo nel '50 con problemi nuovi, e più urgenti. «Dal campo di profughi di Napoli andai a Roma a cercare lavoro al ministero della Marina: ma non presi contatto con un solo letterato». Perché? Enrico Morovich si stringe nelle spalle. Ora sa, anche se non lo ammette, che tuttavia «non era bene morire» (come scrittore): lo dice anche il titolo del suo romanzo, il secondo pubblicato da Rusconi, cui seguirà tutta l'opera ancora inedita. Fosse dipeso da lui, dice «avrei lasciato perdere», perdendosi dolcemente. La sua misura era il racconto breve, da «terza pagina» dei giornali, per i quali continuò a scrivere ancora negli Anni 60. «Ma i tempi cambiavano, i giornali anche, e per i miei racconti non c'era più spazio». Fosse dipeso da lui sarebbe andato avanti a scrivere magari lettere bellissime, a fare il ragioniere al porto e a corteggiare le signore («sì, sono sempre stato imbattibile: ah, il sesso» sospira). Ma gli spiriti vegliava no, e un giorno decisero di inter venire attraverso Tuttolibri e Leonardo Sciascia. La vicenda assomiglia a un racconto di Morovich. Comin ciò, nel giugno dell'87, con un articolo che Sciascia scrisse per il supplemento letterario de La Stampa: lo scrittore siciliano chiedeva che si facesse qualcosa per Mario La Cava, allora rico verato in ospedale. Incidental mente, citò Morovich, «scrittore ormai da anni in silenzio, e ingiustamente dimenticato» che lui, ragazzo, leggeva sull'Omni bus di Longanesi accanto a La Cava e Brancati. Da Genova Bruno Rombi, l'amico che lo aveva stanato, scrisse sul Lavoro: non tutti lo hanno dimenticato. Morovich è qui, scrive e pubblica piccole cose, a limitata circolazione. Rombi gli aveva anche dedicato una monografìa, per le edizioni Sabatelli. Il materiale su Morovich arrivò a Sciascia in agosto, e fu per lo scrittore siciliano una rivelazione. «Caro Rombi - scriveva a fine mese - grazie per il saggio... Quel riferimento a Lernet-Holenia è per me sollecitante: scrittore discontinuo, tra romanzo d'appendice e sottigliezza, per così dire austro-ungarico, capisco che possa aver avuto importanza per Morovich». Sciascia intuì le radici asburgiche, «non nel senso della memore malinconia e della nostalgia, ma nel senso di temi esistenziali che si intridono di soprannaturale e metafisico». Era il tassello mancante, che completava una personalità molto complessa: autore di frontiera, gran lettore di letteratura in tedesco e ungherese ma con il mito di Palazzeschi, Soffici, Papini e della «sintassi toscana», Morovich rappresentava qualcosa di nuovo sulla scena italiana. Poco dopo Sciascia ricevette anche i libri pubblicati alla macchia. Gli spiriti slavi che proteggevano e castigavano si stavano dando talmente da fare che ebbero un'influenza positiva persino sul servizio postale: «Non c'è che dire - riconobbe lo scrittore di Racalmuto in una lettera a Rombi - le poste, almeno in questi giorni, funzionano». Sciascia annunciava anche di aver già preparato una «breve nota» che gli era stata richiesta da Tuttolibri, e aggiungeva: «Sono contento che qualcosa si muova per Morovich. E' tempo». In ottobre la «riscoperta» viene ufficializzata: Tuttolibri pubblica un ampio articolo di Sciascia, che ammette di aver commesso un errore: lui «fermo alle letture delle sue cose pubblicate sul Caffè di Vicari» aveva consigliato agli editori di ristampare i vecchi tìbri: «Morovich era invece scrittore da stampare, da seguire e pubblicare in quel che andava scrivendo e scrive». Fu il boom: tre opere in pochi anni per la Sellerio, uno per Marcos y Marcos, Il Baratro da Einaudi (che negli Anni 60 gli aveva rifiutato un libro, e lui irritato distrusse il manoscritto), infine il contratto per tutta la produzione con Rusconi: che fece prima Piccoli amanti (finalista allo Strega l'anno scorso) e ora pubblica Non era bene morire. Sciascia aveva svegliato l'editoria italiana, fino ad allora sorda ai pochi studiosi fedeli che si erano occupati dello scrittore fiumano: oltre a Rombi, Francesco De Nicola, Giorgio Bàrberi Squarotti e Giuliano Manacorda. Morovich, che da scrittore fantasma soffriva e si divertiva, ostenta qualche imbarazzo ora che la scena è sua. E' grato a Sciascia, che non ha mai incontrato. Ma da scrittore asburgico, magico e ironico, preferisce evocare le tenebre che lo hanno perdonato: «La penso un po' come Bettiza - confida nella sua casa fra i viali d'arance selvatiche che si piegano sotto il peso dei frutti maturi -: uno che ha sangue slavo è sempre un po' posseduto da "quelli là". E se lo dimentica, ci pensano loro a ricordarglielo». Mario Baudino Incontro per caso cinque anni fa Due lettere inedite dello scrittore siciliano: «Etempo che se ne riparli» Leonardo Sciascia e, qui accanto, Enrico Morovich: da una riga dello scrittore siciliano su Tuttolibri nacque nell'87 un caso letterario Due disegni di Morovich: per la copertina del libro e, quello grande, per la mostra a Torino

Luoghi citati: Chiavari, Fiume, Genova, Napoli, Racalmuto, Roma, Torino, Vicari