IL POST-MODERNO NON CE' ANCORA

IL POST-MODERNO NON CE' ANCORA IL POST-MODERNO NON CE' ANCORA Frisby: siamo in bilico fra Otto e Novecento MORTE vera o morte presunta della «modernità», dopo i dibattiti degli ultimi anni (Habermas, Lyotard, Berman...)? Ed essa «modernità» è giusto codificarla nel reticolo temporale di un'epoca - l'epoca che tuttora ci appartiene - o è da intendere quale dato sottostante, quale infinito presente di ogni stagione della storia? E inoltre: nel corso delle verifiche rituali che investono pensiero critico, arte e letteratura, quanto gioca l'ansia di voler archiviare un'idea del mondo che assai spesso è fonte di disarmonia, di angoscioso senso della perdita, in nome di un post (post-moderno post-modernismo post-capitalismo post-industrialismo postsocialismo) che molto somiglia a un vaghissimo interregno? Risponde con fermezza analitica, tirando le brighe agli impazienti del sempre-nuovo ancorché fumoso all'orizzonte, David Frisby, dell'Università di Glasgow, nel saggio a tre luci, Frammenti di modernità, che sin nel titolo adombra il carattere nucleare, «occasionale» della ricerca. I tre autori di ieri che concorrono a illuminare il ricognitore di oggi sono figure esemplari della cultura tedesca tra diciannovesimo e ventesimo secolo, e insieme outsiders che si richiamano a vicenda nell'arco delle rispettive esperienze: Georg Simmel, Siegfried Kracauer, Walter Benjamin. Alle loro spalle premono con diverso potere seduttivo Marx, Nietzsche, Weber, ma soprattutto il Baudelaire di II pittore della vita moderna, il primo fenomenologo della modernità, il primo a introdurre la nozione che ci è divenuta familiare e a identificarla nel fascino dell'erratico, nel piacere dell'iridescenza, nell'ebbrezza di ciò che splende un attimo e «suggerisce» l'eterno. Soggiogati dalle fantasie iìvot luzionarie di Baudelaire, Simmel, Kracauer e Benjamin approfondiscono certo il credo estetico della casualità, della discontinuità del tempo e dello spazio di cui si alimentavano i movimenti modernisti europei, ma poi ciascuno fissa il personale osservatorio in un'area privilegiata (la Berlino fine secolo per Simmel, la Berlino Anni Venti e Trenta per Kracauer, la Parigi dell'800 per Benjamin) e punta a una comprensione più vasta della modernité. Muovendo - chiarisce subito Frisby dai fili sparsi dell'ordito sociale, dalle screpolate superfici, dalle istantanee (Momentbilder) del quotidiano, e mai da un ordine sistematico dell'universo da decifrare, sebbene alla fine risultino inconfutabili i meriti «scientifici» di Simmel (e basterebbero Filosofia del denaro 1900 - e Problemi fondamentali della filosofia - 1910), sebbene Benjamin vi aspiri esplicitamente nell'incompiuto ciclo dei Passagen, e Kracauer ne presupponga l'esigenza nei brevi testi pubblicati sulla Frankfurter Zeitung e confluiti nel saggio La massa come ornamento. Il fatto è che la contagiosa curiosità di Baudelaire per tutto quel che l'occhio percepisce nel moto insensato della folla, nei paradisi artificiali della metropoh, nei capricci delle muse novizie che si contendono i favori del flàneur, non subisce depurazioni o rarefazioni concettuali neppure in Simmel che, dei tre, rappresenta la punta speculativa più evidente. Resta fluida, «impressionistica», suscettibile alla moda, allo sport, alla rivista, al circo, alla fotografia, al cinema, e sostenuta di volta in volta dall'autobiografia, dallo scandaglio psicologico, dalla contaminazione letteraria e (specie Kracauer) dall'intervento polemico diretto. Né il tipo di approccio si modifica quando la città - Parigi o Berlino -, simbolo di avventure libertarie, comincia a produrre feticci, cupe tensioni, nevrastenie collettive, e per bocca di Simmel si afferma: «La mancanza di qualcosa di definitivo nel centro dell'anima spinge a cercare una soddisfazione mo¬ mentanea in continui e diversi stimoli, in emozioni e attività esterne; e così finisce per avvolgerci in quella confusa instabilità e irresolutezza che si manifesta ora come selvaggio incalzare della concorrenza, ora come incostanza dei gusti, degli stili, delle convinzioni, dei rapporti». E più tardi Kracauer, nel magistrale studio su Gli impiegati, esplorando zone periferiche della mappa urbana, registrando voci e aneliti delle donne nel posto di lavoro o negli uffici di collocamento, del consumatore al bar, allo stadio, nei grandi magazzini o all'operetta, denuncia con enfasi le illusioni della civiltà capitalistica, il vuoto interiore della scienza, e schizza con decenni di anticipo alcune micropatologie del benessere. («La corsa agli istituti di bellezza è anche il risultato di una preoccupazione sostanziale, e i cosmetici non sono necessariamente un lusso. Timorosi di essere dichiarati fuori uso come merce deteriorata, le signore e i signori si tingono i capelli e i quarantenni praticano lo sport per mantenersi snelli...»). Mentre Walter Benjamin, che ama risalire alla Parigi del secolo decimonono per rintracciarvi una «preistoria della modernità», ingigantisce i sinistri ri- flessi del consorzio metropolitano. La città è ormai vestibolo di un minaccioso labirinto, luogo di choc, di terribili coazioni, sfondo grigio di individui che appaiono solo perché acquistano peso statistico. Pari alla levatura intellettuale dei personaggi giustapposti da Frisby è l'amara consapevolezza di essere tenuti ai margini: ignorati, elusi, e comunque stranieri nella propria società. Serpeggiante in Simmel, venata di pessimismo esistenziale in Kracauer, tragica nell'epilogo di Benjamin. Attento a catturare ogni segreta interazione dei singoli «frammenti», il sociologo di Glasgow evita di sovrapporsi e men che meno di trasformare le preziose testimonianze in pacifici asserti. Voleva insinuarci un dubbio più radicale sull'effettivo ingresso del post-moderno e direi che è largamente riuscito nel suo intento. Troppe sono infatti le ferite aperte, troppi i miti da decantare e troppi i frutti ancora non colti nei giardini del «moderno», per procedere a un brusco inventario. Giuseppe Cassieri David Frisby Frammenti di modernità il Mulino pp. 352, L. 40.000 Uorma di Simmel, Kracauer e Benjamin ancora viva nel nostro tempo Qui a fianco, Benjamin, uno dei protagonisti del saggio di Frisby

Luoghi citati: Berlino, Glasgow, Parigi