Tokyo vuol costruire più vetture negli Usa di Piero Casucci
Tokyo vuol costruire più vetture negli Usa Un investimento di 10 mila miliardi Tokyo vuol costruire più vetture negli Usa Due milioni 700.000 auto nel '94 Il problema delle joint-venture Il profondo rosso che ha caratterizzato i bilanci fine 1991 dell'industria automobilistica americana ha riportato in primo piano l'aggressività delle marche giapponesi. Le vendite di Tokyo nel mercato degli Stati Uniti hanno raggiunto una quota del 30,2 per cento (contro il 26,4 nel 1990). Nell'ambito di tale risultato il 13,9 è rappresentato da veicoli prodotti localmente negli ormai ben noti «transplants». E agli stessi vanno aggiunti quelli derivati da prodotti giapponesi costruiti negli Usa sotto diversi nomi e frutto di joint venture (circa tre milioni). L'eventualità che il ruolo e le prospettive dell'industria automobilistica statunitense siano messe seriamente in discussione dall'intraprendenza giapponese, creando squilibri pericolosi (tre quarti del deficit americano nei confronti del Sol Levante è proprio costituito dalla voce «automobili»), è divenuto l'argomento del giorno negli Stati Uniti. E nuove iniziative di Tokyo minacciano di peggiorare la situazione. Con una spesa equivalente a circa 1000 miliardi di lire la Toyota raddoppierà la produzione nel suo stabilimento di Georgetown, nel Kentucky, portandola a 420 mila unità all'anno alla fine del 1993 (attualmente siamo a 220 mila). La Nissan investirà oltre 500 miliardi in un'operazione analoga, che le consentirà di elevare a 440 mila unità ogni 12 mesi il potenziale del suo insediamento america-' no, situato a Smyrna, nel Tennesse. In questo modo fra il 1993 e il 1994 le Case giapponesi saranno in grado di costruire circa 2 milioni 700 mila veicoli negli Usa. L'investimento appare notevole: circa 10 mila miliardi di lire. Se queste due operazioni andranno a buon fine e le importazioni di automobili giapponesi direttamente dalla madre patria rimarranno agli stessi livelli attuali (2 milioni 300 mila unità all'anno) la presenza del Sol Levante negli Usa raggiungerà il 50 per cento dell'intero mercato (nel 1991 vi sono stati venduti 10 milioni 727 mila veicoli fra automobili e autocarri, complessivamente). Ora che l'industria americana è minacciata da una vera e propria tempesta ci si interroga sui motivi che l'hanno generata. E si scopre che nemmeno le joint venture, nate con il proposito di dividere i benefici ma soprattutto i rischi di nuove produzioni, hanno dato i risultati che ci si riprometteva di raggiungere. Il primo dei tre ex grandi di Detroit a mettere fine a questo tipo di attività è stata la Chrysler. Cedendo alla Mitsubishi la Diamond Star Motor Corporation, che qualche anno fa aveva creato congiuntamente alla marca giapponese, si è sbarazzata di un pesante fardello. Le sarebbe costato in tre anni 400 milioni di dollari (circa 500 miliardi di lire). Più fortunata la collaborazione tra la General Motors e la Toyota, che ha dato luogo a suo tempo alla creazione di un organismo noto sotto il nome di Nummi (New United Motor Manufacturer Inc.) con sede a Fremont, in California. Vi si costruiscono la Geo Prizm (motore Toyota), commercializzata dalla General Motors, e la Corolla, che viene venduta nel mercato Usa direttamente dalla marca giapponese. Positiva o no, questa esperienza dovrà cessare entro il 1996 su disposizione della Federai Trade Commission e si dà per scontato che la Nummi finirà interamente nelle mani della Toyota che tuttavia potrebbe continuare a produrre la Geo Prizm per conto della GM. Questo in realtà sembra essere il futuro delle joint venture: non più una produzione di modelli di varia paternità ma originali per conto dell'uno o dell'altro partner. La Ford attua già questa politica con la Mazda e la Nissan. Piero Casucci
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