Casagrande ha deciso d'andarsene di Claudio Giacchino

Casagrande ha deciso d'andarsene TORINO Un anno dopo la clamorosa fuga di Muller, un altro brasiliano intende far le valigie Casagrande ha deciso d'andarsene «Il granata mi piace sempre tanto, però vorrei ritornare in Brasile» «A questo punto non mi preoccupa rinunciare al denaro del vostro calcio» TORINO. Questi brasiliani del Torino, valli a capire. L'8 febbraio dell'anno scorso Muller diede un calcio a tre miliardi e tornò in patria. Adesso, Walter Casagrande dice: «A fine stagione voglio andarmene, dove non so ancora: a casa o, forse, da qualche parte in Europa. Guadagnerò di meno, molto di meno, ma che importa? Non sono materialista: la vita non è soltanto denaro, il tanto, troppo denaro che circola nel vostro calcio». Stupefacente Casagrande: è appena uscito dall'odissea traumatologica che ha scandito il suo primo semestre di vita torinista e, di domenica in domenica, si sta rivelando giocatore sempre più prezioso per Mondonico. Come mai, dunque, questo desiderio di fuga? «Qui sto bene, anzi il granata mi piace ogni giorno di più: sarà dura lasciarlo. Ugualmente, desidero cambiare aria, non ho più motivazioni per restare. Motivazioni non calcistiche, ma sociali, cognitive». Cioè? «Dopo 5 anni in Italia sono dibattuto tra la voglia di tornare nella mia città, S. Paolo, e la curiosità di scoprire un'altra nazione europea, un modo di vivere diverso. Quale nazione? Oggi non saprei dirvelo». Affermazione, quest'ultima, davvero poco convincente. Comunque, procediamo oltre: ha informato i dirigenti? «Sì, a gennaio, prima della trasferta contro il Genoa. La società vuole che rimanga: preferirei, però, re- scindere il contratto che mi lega sino al giugno 1994. Sia ben chiaro, farò quanto vuole il presidente». Muller a parte, lei è un «unicum» nel panorama pallonaro nostrano. Andandosene, dirà addio a una montagna di denaro. Casagrande s'infastidisce al solo nome di Muller: «Siamo diversi» e ribadisce: «Ci sono valori superiori ai soldi: amicizia, lavoro per gli altri». L'ultima spiegazione ha un significato ben preciso: la moglie di Walter, due volte la settimana, assiste handicappati in un istituto di Rivoli e lui, quando sarà un ex giocatore, vuole «fare qualcosa, magari il fisioterapista, che aiuti chi è in difficoltà». Da un discorso che sfiora mille temi, lentamente emergono alcuni punti fermi: la nostalgia: «Portogallo, Ascoli, Torino, è ora di por termine al girovagare...»; il desiderio di rimpatriata della moglie: «La decisione non è solo mia, anche la famiglia decide»; le difficoltà incontrate a Torino: «Quante polemiche, quante cattiverie dette e scritte su di me». Come la prenderanno i tifosi? «Spero bene; qui sto lavorando bene, la squadra può fare grandi cose perché poggia sull'armonia. Il Torino ricorda il mio Corinthians di S. Paolo, qui come là regna la democrazia». Casagrande è ispirato nel ricordare quella democrazia futbalistica fondata sui risultati: «Vincemmo due scudetti», sorride: «Nello spogliatoio si parlava di politica, società, quanto entusiasmo avevamo». E qui, con i compagni fa gli stessi discorsi? «In Europa non ne ho trovato uno interessato a questi argomenti». Anche per lei il calcio italiano è malato di stress? «Altro che: però, anche i guadagni sono grandi, quindi è tutto nella norma». Intanto, ieri Mondonico ha «spiato» il BK Copenaghen, rivale di Coppa, che ha pareggiato 11 contro i francesi del Le Mans, serie B.«I danesi sono andati in campo con solo metà squadra dice il tecnico granata -impossibile giudicarli». Claudio Giacchino Walter Casagrande, 5 anni in Italia