Berlioz trascina Goethe all'inferno di Luigi Forte

Berlioz trascina Goethe all'inferno «Dannazione di Faust» con Ronconi a Torino Berlioz trascina Goethe all'inferno PI ER tutta la vita Hector Berlioz ha pensato a Goethe. Legge il Faust nella sublime versione, 1 perlopiù in prosa, del diciannovenne Gerard de Nerval ed è preda di una passione che lo accompagna per sempre. Più tardi, nelle sue Memorie, confesserà: «Il meraviglioso poema mi affascinò di primo acchito e non me ne staccai più: lo leggevo senza sosta, a tavola, a teatro, per strada, dappertutto». Complice è una traduzione che, conservando la brillantezza e profondità del tedesco, come ebbe a dire Théophile Gautier, diveniva francese grazie alla trasparenza. Una traduzione, del resto, che sedusse perfino il vecchio Goethe: «Non ho mai compreso così bene me stesso si lasciò scappare - come leggendola». L'ammirazione del vegliardo di Weimar per il giovanissimo scrittore francese non si ripete di fronte alle Otto scene di Faust che Berlioz, già autore a soli 26 anni di una Messa solenne e di alcune cantate, gli invia nell'aprile del 1829. A nulla valgono le sue parole di accompagnamento: «Se nell'atmosfera di gloria in cui vivete, oscure lodi non possono toccarvi, spero tuttavia che perdonerete ad un giovane compositore che, il cuore gonfiato e l'imii ifi maginazione infiammata dal vostro genio, non ha potuto trattenere un grido d'ammirazione». Goethe tace. Ha quasi 80 anni e in fatto di musica si fida più del consulente Zelter che del proprio orecchio. Male, perché il critico tedesco non ama la musica moderna. Nella partitura di Berlioz annusa l'odore di zolfo di Mefistofele e non riesce a entusiasmarsi per quel gran trambusto di note. «Certa gente è incapace di palesare la propria presenza - egli sentenzia - se non a prezzo di accalorate espettorazioni, di sternuti, di scaracchi, di conati di vomito. (...) Un giorno o l'altro si troverà pure il modo di utilizzare, in qualche lezione, questa escrescenza, residuo d'aborto di un laido insetto». Fortuna ha voluto che una tale massa d'insulti non sia mai giunta alle orecchie di Berlioz, altrimenti, prima di Faust, all'inferno il permaloso francese avrebbe mandato il suo idolo Goethe e noi ci troveremmo oggi a non parlare della Dannazione di Faust, la leggenda drammatica in quattro parti che il Teatro Regio propone da domani a Torino con la direzione musicale di Hubert Soudant e la regia di Luca Ronconi. Senza suscitare entusiasmi il lavoro va in scena per la prima volta all'Opéra-Comique di Parigi il 6 dicembre 1846. Sono trascorsi quasi vent'anni dalle Otto scene, che Berlioz in parte ha ripudiato e in parte riciclato nella Dannazione. Il mondo goethiano, anziché impallidire nel corso del tempo, ha assunto contorni più ampi fluendo nella musica dei tempi nuovi, che trova un appassionato ammiratore in Heinrich Heine esule a Parigi- Già ascoltando la Sinfonia fantastica il poeta tedesco sottolinea l'elemento luciferino: «La cosa migliore in questo pezzo egli scrive - è una ridda di streghe in cui il diavolo legge messa e la musica cattolica viene parodiata con la burla più terrificante e sanguinosa. E' una farsa per cui tutte le serpi segrete che portiamo in cuore sibilano di gioia scattando verso l'alto e per voluttà si mordono le code». Heine sembra udire la musica di Berlioz con un piede nella Cucina della strega o nella Nolte di Valpurga del Faust. Ma egli ha tutt'altro che torto. Giacché il musicista rivisita in tempi e passaggi della Sinfonia atmosfere faustiane non senza spiragli verso quei paradisi artificiali di cui Wagner sarà più tardi appassionato cultore. Del resto Berlioz è più che mai figlio del suo tempo: ama ribelli, eslegi, uomini fatali che tutto travolgono sul proprio cammino. Da ragazzo leggeva Shakespeare, ora ammira Byron e i suoi eroi trasgressivi. Così anche il suo Faust tende a rientrare nel cliché dell'eroe romantico affetto da troppo sentimentalismo e sensibile a repentini e laceranti sfoghi lirici. L'impostazione di fondo della sua opera si stacca però decisamente dal poema tedesco: «Già il titolo - ha scritto Berlioz stesso nell'introduzione al libretto indica che questo lavoro non si basa sull'idea principale del Faust di Goethe, poiché nell'illustre poema Faust viene salvato. L'autore della Dannazione ha preso a prestito da Goethe solo alcune scene che esercitavano sul suo spirito una seduzione irresistibile». E infatti analogie e richiami si susseguono fino all'apoteosi, mentre Faust, conse¬ gnatosi a Mefistofele pur di salvare la donna, si inabissa fra le fiamme dell'inferno. Insomma, nello spirito del romanticismo berlioziano se la spassano meglio i diavoli degli angeli. E son talmente agitati e confusi da esultare in un indecifrabile idioma (Berlioz cita qui il teosofo Svedenborg): sarà linguaggio degli inferi o l'espressione della caotica gioia dei figli di Belzebù, a cui giunge inopinatamente l'anima di un vip della letteratura mondiale, che tutti credevano ormai al sicuro in cielo? In un modo o nell'altro il libretto della Dannazione, e soprattutto la musica, si lascia attrarre, come è stato detto, da una mistica rovesciata, cioè quella dell'inferno. Perfino Mefistofele nella corsa verso l'abisso riacquista un tono spavaldo che Goethe gli aveva scrollato di d dosso con somma ironia. Nel Faust gli tocca dire: «L'anima eletta che mi si era data / me l'hanno sgraffignata con l'astuzia. / (...) / Vecchio come sei, ti sei fatto fregare...». Nulla di paragonabile all'urlo narcisistico del demonio berlioziano: «Io! Io! Vincitor». Povero diavolo, sembra lui il primo a meravigliarsi di tanta inattesa fortuna. Ma la novità è un'altra: la tensione faustiana infatti non si concilia più con la prospettiva della redenzione d d dell'uomo, ma tende ad accentuare quel sentimento di crisi e di lacerazione diffuso nell'Europa della Restaurazione. Così la musica di Berlioz oscilla fra un'immagine di Faust in preda a spleen e nichilismo, come nel poeta Lenau, e la parabola tragicomica schizzata dal drammaturgo Dietrich Grabbe in Don Juan e Faust, assai vicina al pandaemonium berlioziano. Titanismo e sublime precipitano in inferni di cartapesta, mentre Berlioz non disdegna qua e là delicate atmosfere goticheggianti, ronde paesane, danze di silfi e folletti in un romantico clima di fiaba. Resta l'orgia finale che assume toni da operetta: ma anche qui del dramma goethiano si sente più la parodia che la sofferta interpretazione. Quasi ad anticipare il «poema danzato» di Heine, un testo coreografico dell'anno seguente, il 1847, in cui tutti finiscono all'inferno. Forse perché stavolta Mefistofele è donna e ha la passione per il pas de deux. Di fronte a tanto scempio Goethe si sarà rigirato nella tomba, ma non è escluso che il dottor Faust di Berlioz ab bia optato per l'inferno pregu stando il diavolo in tutù di quel burlone di Heine. Dopo tutto la seduzione era il suo mestiere. Luigi Forte ... Una locandina per «Il Faust»

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