«Betty» una donna di Simenon di Gabriella Bosco

«Betty» una donna di Simenon Nuovo Chabrol «Betty» una donna di Simenon PARIGI. Esce oggi «Betty», un'altra storia di donne di Claude Chabrol. La protagonista, interpretata da Marie Trintignant, è questa volta una creatura di Georges Simenon. A distanza di dieci anni, è il secondo Simenon che Chabrol trasforma in film. Il primo, «Le fantóme du chapelier», era un poliziesco. «Betty» invece, romanzo del 1960, è uno di quelli senza commissario Maigret. «E' il ritratto di una giovane donna opaca - dice Chabrol - come un'acqua torbida in cui è difficile vedere chiaro». Una piccolo-borghese sorpresa dal marito in flagrante delitto di adulterio, cacciata di casa e costretta a rinunciare alle sue bambine. Betty si lascia andare e soccomberebbe all'alcol se una matura vedova (Stéphane Audran) non si prendesse cura di lei. Il film è costruito sui rapporti tra le due donne, entrambe «al limite». Vince la giovane, con un finale a sorpresa molto duro. All'anteprima di «Betty», presentato in apertura del Festival cinematografico di Saint-Denis «Les acteurs à l'écran» - Premio Michel Simon per il miglior giovane interprete, Chabrol ha parlato del suo amore per le donne «che cercano la sopravvivenza contro tutto e tutti». E' questo il filo rosso che accomuna «Un affare di donne», «Giorni tranquilli a Clichy», «Emma Bovary». Marie Trintignant fa l'alcolizzata in maniera sorprendente, aiutata - dice lei - dalla sua forte miopia. «Qualunque miope, se gli togli gli occhiali, sembra subito un ubriaco». Taglio carré nerissimo (una parrucca, per non sacrificare le lunghe chiome cui tiene moltissimo) l'attrice, per un ruolo così cupo, ha voluto indossare un tailleur Chanel bianco. Chabrol ha trovato l'idea gemale: «Niente come uno Chanel bianco che via via si sporca, dà il senso della degradazione». Stéphane Audran, nei panni della perdente, interpreta alla perfezione «la ferita che c'è in quasi ogni donna, movente del suo agire». Un tema che appassiona il regista. Quando il romanzo di Simenon uscì, venne accolto con rara freddezza. Chabrol, grande lettore e amico di Simenon, confessa di avere un debole soprattutto per i libri che gli diedero più filo da torcere. «Quelli in cui è più accentuata, e più riuscita, la neutralità della scrittura». Il regista ricorda quel che gli chiese un giorno Simenon: «Perché quando fate un film, vi affannate a inventare storie complicate? Non vi basta mettere in scena la natura umana, così com'è?». «I romanzi di Simenon sono sceneggiature bell'e pronte. Della giusta lunghezza, tra le 140 e le 180 pagine, con una struttura solida», dice Chabrol. Ne adatterà altri? «C'è un personaggio presente in vari Simenon che mi attira molto, un ladro internazionale che si chiama il Commodoro. A me piacciono molto i ladri, più degli assassini, perché fanno girar l'anima alla gente che io non sopporto. Credo proprio che prima o poi mi divertirò a fare un film sul Commodoro». Gabriella Bosco

Luoghi citati: Parigi, Saint-denis