Churchill, il whisky al potere

Churchill, il whisky al potere In Inghilterra si accende la discussione sugli eccessi del premier Churchill, il whisky al potere Esagerava: ma anche Alessandro Magno e Eltsin... w t| INO bianco del Reno o 1/ una bottiglia di cham1/ pagne a colazione. Tre o ■ quattro brandy prima JJdel pranzo, annaffiato poi, naturalmente, da un'altra bottiglia di vino francese. Dal pomeriggio fino al momento d'infilarsi tra le lenzuola, bicchierini di superalcolici. Winston Churchill vinse la guerra osservando una dieta liquida che avrebbe mandato al creatore una spugna. Sconfitto il nazismo, modificò le sue abitudini: sostituendo il whisky and soda, in dosi industriali, al cognac. Eppure i fatti dimostrano che mai gli mancò la lucidità per governare, né la forza di campare dignitosamente fino al gennaio 1965: aveva novantanni. Tra l'altro, nell'epoca del maggior «assorbimento alcolico», 1 primi Anni Cinquanta, tornò a ricoprire la carica di primo ministro ('51-55) e si guadagnò il Nobel per la Letteratura ('53) con la sua monumentale storia della seconda guerra mondiale. Questo è il vero mistero Churchill: non come abbia fatto a diventare un mito il giovane politico che promosse la sfortunata spedizione dei Dardanelli durante la Grande guerra, ma come abbia fatto a diventarlo un uomo che i manuali di medicina direbbero destinato a morire precocemente di cirrosi epatica. Ingurgitava suppergiù 22 unità di alcol al giorno, quando il Royal College, raccomanda di non consumarne più di 21 la settimana. L'interrogativo se l'è posto la Bbc qualche settimana fa: «Come fece l'uomo che trasformò il sigaro in un totem del potere a governare nelle condizioni che renderebbero uno straccio qualunque persona?». E, a ruota, il Times: «Se è vero che un lord è più lord con una buona dose d'alcol in corpo, davvero un primo ministro dà il meglio di sé quando è ubriaco?». Chissà che una risposta non possa venire dal confronto tra Boris Eltsin, la cui reputazione fa correre con facilità la mente al vecchio leone inglese, e Mikhail Gorbaciov, per nulla attratto da Bacco. Tra i paragoni storici c'è il modello di Alessando Magno, grande ubriacone, contrapposto a quello di Hitler, assolutamente astemio nonostante abbia inventato il suo partito in una birreria. I tentativi di spiegare lo strano caso del dottor Churchill, comunque, lasciano il tempo che trovano. Qualcuno azzarda che probabilmente le mucose del suo stomaco erano tanto potenti da metterlo al riparo da quegli inconvenienti che sarebbero dovuti essere naturale conseguenza dei suoi eccessi. Eccessi su tutti i fronti, dalla tavola al fumo. Secondo un detto popolare inglese, i grandi hanno grandi appetiti. Se così fosse, allora il destino di Churchill era segnato dall'infanzia: pare che da bambino passasse da un castigo all'altro per continui furti di zucchero; nelle pagelle delle scuole elementari ricorre la definizione di «avido». Per gli psicologi, il Gargantua britannico non può che nascondere la solita fragile personalità o, meglio, quella tenden¬ za alla depressione che non l'ha mai abbandonato per tutta la vita. Beveva e diventava un grand'uomo. Il costante stato di ebbrezza gli consentiva di affrontare capi di Stato maggiore e premier di altri Paesi con quel distacco e quella freddezza inglesi che sobrio e sincero non avrebbe saputo trovare. L'alcol riusciva a trasformarlo in un leader fantasioso, dando ragione ai miti letterari da Orazio a Fitzgerald, secondo cui nella bottiglia vive la musa che sprigiona la creatività repressa. Ma tutte queste domande, a Winston Churchill sarebbero probabilmente sembrate oziose. Lui ha chiuso in anticipo il dibattito con una frase lapidaria: «L'unica cosa vera è che ho fatto fuori più alcol di quanto l'alcol abbia fatto fuori me». Il resto è nei libri di storia. Pier Luigi Vercesi Winston Churchill: una dieta a base di superalcolici. Prima della guerra beveva solo cognac, poi passò al liquore scozzese

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