L'ARMATA ROSSA a caccia di tedesche di Lietta Tornabuoni

L'ARMATA ROSSA a caccia di tedesche Berlino, un film porta alla luce il drammatico «stupro di massa» dei liberatori sovietici. Parla la regista Sander L'ARMATA ROSSA a caccia di tedesche BERLINO DAL NOSTRO INVIATO Ancora la Storia recente, le sue amnesie non innocenti, le parentesi tra cui sono rimasti chiusi episodi terribili; e ancora il cinema che arriva, a volte prima degli storici o dei giornalisti, a ripercorrere fatti specialmente atroci o politicamente scomodi. L'ha fatto il regista francese Bertrand Tavernier, con il suo film-documento sulla guerra d'Algeria. L'hanno fatto i registi italiani Caracciolo e Manno, con il loro film-documento I 600 giorni di Salò. Lo fa la regista tedesca Helke Sander, in un film-documento in programma sabato prossimo al FilmFest, Bejreier und Befreite - Krieg, Vergewaltigungen, Kinder (Liberatori e liberate Guerra, stupri, bambini), che indaga, riflètte e rende testimonianza su un tema sinora sempre ignorato: gli «stupri di massa» perpetrati dai soldati dell'Armata Rossa quando entrarono vittoriosi a Berlino nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale. Helke Sander, berlinese, cinquantacinque anni, ex attrice e femminista militante, regista ammirata e rispettata, condirettrice dell'Istituto per il cinema e la televisione di Brema, è una donna bruna, pallida, sottile, tenace. La interroghiamo sul suo film e sulle lunghe ricerche che lo hanno preceduto. Lei parla di «stupri di massa». Cosa vuol dire «di massa»? Vuol dire di massa. E' così. A Berlino' vennero stuprate nel 1945 dai soldati dell'Armata Rossa, soprattutto nei'mesi di maggio e giugno, almeno 100 mila donne; 500 mila donne vennero stuprate nella zona d'occupazione sovietica, in quella che sarebbe poi stata la Repubblica democratica tedesca; un milione e 400 mila donne vennero stuprate nei territori dell'Est oltre il fiume Oder, in quella che è oggi la Polonia. Due milioni di donne hanno subito stupro. E' davvero una cifra minima: certo non furono di meno, probabilmente furono molte, molte di più. Durante il lavoro di ricerca, ho parlato con cento donne che ebbero allora questa esperienza feroce, per scegliere le venti testimoni che la raccontano nel mio film. A tutte ho chiesto: «Quante saranno state, a patire violenza?». Hanno risposto: ((Almeno il 70 per cento delle donne tedesche». Sembrano cifre molto alte. Le cifre sono assai più alte, ma non possiamo provarlo. Quasi metà delle donne berlinesi violentate sono state stuprate più volte, in varie occasioni, da militari diversi. Ho incontrato donne che sono state violentate oltre cento volte: e avevano tredici, quattordici anni. Soprattutto alle ragazzine è successo ripetutamente. Il 25 per cento delle donne violentate sono rimaste incinte. Sinora, non se ne sapeva nulla. Nella maggior parte dei casi, le donne non hanno parlato di quanto avevano subito neppure con i parenti stretti. Hanno taciuto. Avevano paura. Sentivano la violenza sofferta come una vergogna. Temevano di venir cacciate dalla famiglia, rifiutate dai mariti. I tempi erano diversi, eppure anche adesso l'identico silenzio si ripete nel Kuwait, dove moltissime donne sono state violentate durante la guerra del Golfo da militari soprattutto iracheni. Politicamente, l'argomento è rimasto soffocato da un tabù assoluto: i liberatori dal nazismo non potevano essére anche violentatori. Soltanto nell'ex Unione Sovietica se n'è discusso, specialmente nella pubblicistica dei dissidenti. Socialmente, in Germania non è accaduto che queste vittime si unissero in associazione, e soltanto in rari casi isolati è stata rivolta allo Stato una richiesta di aiuto, di sussidio. In teoria era possibile chiedere un indennizzo, ma occorreva fornire documentazione, dare prova di essere state vio- lentate: gli unici testimoni possibili sarebbero stati i violentatori. Nella generale rimozione silenziosa, in che modo ha potuto condurre la sua ricerca, arrivare alle sue conclusioni? Durante quarantasei anni, nessuno aveva mai condotto una ricerca del genere: ho cominciato io, sono stata la prima a interessarmi a questo pezzo di Storia. Ci ho lavorato per cinque anni, iniziando da Berlino: ho dovuto fare una ricerca trasversale che ha richiesto moltissimo tempo, tra grandissime difficoltà. Purtroppo non mi è stato possibile consultare gli archivi militari a Mosca: molti soldati sovietici furono fucilati o duramente puniti per aver stuprato donne tedesche, ogni rapporto con la popolazione tedesca era loro severamente vietato, e i rapporti disciplinari certo recano traccia delle violazioni. I documenti degli uffici amministrativi tedeschi, dove potevano risultare le malattie veneree, gli aborti, le nascite che furono conseguenze degli stupri, vennero distrutti dopo trent'anni e non esistono più. Per fortuna esistono ancora, e sono risultati i più utili, alcuni archivi di ospedali: in molte registrazioni di nuove nascite sta scritto «padre russo, sconosciuto». Perché ha concentrato la sua ricerca sull'Armata Rossa? I primi ad arrivare a Berlino, nel 1945, furono i sovietici. Americani, francesi e inglesi arrivarono poi, a luglio. Nella Storia, gli eserciti vincitori hanno sempre violentato le donne dei Paesi sconfitti. Le sembra che questo caso presenti caratteri particolari? Per le sue proporzioni, in questo secolo è paragonabile soltanto a quanto hanno fatto i giapponesi a Nanchino, in Cina. Anche i militari tedeschi hanno stuprato donne sovietiche durante la campagna di Russia, ma in misura assai minore. Ci sono fattori... Bisogna pensare all'oppressione dello stalinismo, alle pressioni cui i soldati sovietici erano sottoposti nell'esercito, all'odio che avevano per i nazisti: arrivavano, erano i vincitori... Erano soldati molto giovani, ventenni, agivano sempre in gruppo: e pure l'alcol c'entrava la sua parte. Violentavano anche per sfregio, ma soprattutto per sfogo sessuale. Volevano «vivere», farlo il più possibile. Molti non credevano che la guerra fosse finita, avevano paura di venir mandati in Estremo Oriente. Molti erano impressionati dalla ricchezza in Germania: anche se eravamo alla fine e sotto le macerie d'una guerra disastrosa, nelle case c'erano le vasche da ba gno, i quadri, i cristalli, i tap peti, le ghiacciaie. I soldati so vietici non arrivavano a ere derci, lo raccontano ancora og gi, e si può intuire il loro furo re: avevate tutto, perché siete venuti a saccheggiare le nostre case? Abbiamo vinto e ci pren diamo tutto, anche le donne. Nel suo film venti donne tedesche testimoniano la violenza subita. E' stato difficile indurle a parlare? Dopo aver spiegato e chiarito le mie intenzioni, no. Anzi, ora sono assediata da donne violentate e dai loro figli nati dalla brutalità, non c'è giorno che nuove persone non mi telefonino per denunciare, per parlare. Soprattutto le donne che erano allora ragazzine, hanno patito traumi profondi: era la prima volta che ne parlavano, e parevano provare quasi un senso di sollievo. Lei ha anche raccolto, a Minsk in Bielorussia, testimonianze di uomini e donne dell'Armata Rossa. Cosa hanno detto? Le donne soldato hanno detto di non averne saputo nulla, di non averne mai sentito parlare. I soldati non hanno negato, hanno ammesso tutti di essere al corrente; e hanno avanzato le giustificazioni della guerra, della paura di morire, del bisogno sessuale, della loro giovinezza. Uno soltanto ha riconosciuto d'aver violentato una tedesca: oggi non riesce a capire, ha detto, come sia stato possibile. Come, perché ha preso a interessarsi a questa tragedia? Da bambina, sono stata testimone di un episodio del genere. Avevo otto anni, con mia madre e mio fratello dormivamo in un vagone ferroviario in quella che è oggi la Cecoslovacchia. Le donne che abitavano in quello e in altri scompartimenti del treno-letto avevano molta paura: si diceva che stessero per arrivare i liberatori ma non si sapeva chi fossero, se i russi, gli americani, i neri. Dominava un terrore quasi isterico: quelle donne, senza nessuno accanto che potesse proteggerle perché gli uomini erano tutti in guerra o chissà dove, cercavano di imbruttirsi, di sporcarsi, di rendersi sgradevoli per non essere prese. Soprattutto di sporcarsi. La notte, sulle cuccette superiori dove dormivamo, mio fratello ed io nascondevamo col nostro corpo il corpo di mia madre e di un'altra signora, perché si sapeva che i bambini li lasciavano stare. Una notte, vennero i soldati russi e si presero le due donne che dormivano nelle cuccette inferiori: le prelevarono con modi cortesi, gentilmente, ma poi le sentimmo piangere e gridare nel buio... Quale utilità sociale pensa possa avere il suo «Liberatori e liberate»? Tutta la storia del dopoguerra deve essere riconsiderata, e io vorrei che questa riscrittura avvenisse con la coscienza pure del destino delle donne. Nella Storia, la dimensione femminile non è mai stata riconosciuta né registrata: bisogna cominciare. Lietta Tornabuoni «Vittime almeno due milioni di donne. Ho incontrato ragazze di quattordici anni violentate oltre cento volte» L'ARMATA ROSSA a caccia di tedesche Un soldato sovietico issa la bandiera rossa sul Reichstag. A fianco, il generale Zukov, artefice della presa di Berlino

Persone citate: Bertrand Tavernier, Brema, Caracciolo, Helke Sander, Kinder, Manno