Il sorriso-sfida dei ragazzi killer di Giuliano Marchesini

Il sorriso-sfida dei ragazzi killer Verona, massacrarono i genitori di Pietro per i soldi con cui cambiare vita. Ieri in aula eleganti e sicuri di sé Il sorriso-sfida dei ragazzi killer Maso e complici alprocesso come a una festa VERONA DAL NOSTRO INVIATO \ Pietro Maso è elegante, dentro la gabbia della corte d'assise: calzoni azzurri, giacca blu, camicia rosa e foulard a pallini. Come quando andava giù in città, la sera, a passare da un locale all'altro. Ha ucciso i suoi genitori, Antonio e Maria Rosa, nella loro villetta di Montecchia di Crosara, tra i vigneti del Veronese. Lo hanno «aiutato» tre amici: la promessa era di spartirsi l'eredità dei Maso. Due dei complici, Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza, siedono accanto a lui di fronte ai giudici. Loro non si mostrano da meno: vestiti da ragazzi-bene. Se non fosse per le sbarre, si direbbe che stiano su una panca in un angolo di una discoteca. Il terzo complice non aveva ancora compiuto 18 anni, quando mise le mani addosso ai due coniugi, contribuendo a massacrarli: sarà giudicato dal tribunale dei minorenni. Intanto rispondono questi tre, che hanno confessato e forse hanno ancora poco da dire. Vent'anni Pietro, 19 Giorgio e Paolo. Ragazzi di campagna che hanno perso il senso della campagna. Grava, su questa storia orrenda, il giudizio espresso dallo psichiatra Vittorino Andreoli, consulente del p.m. Mario Giulio Schinaia, sull'ambiente in cui è stato pensato e compiuto un simile delitto. «Una società ha scritto Andreoli - che è stata riempita di denaro, che è diventato il vero dio di questi luoghi. In quest'atmosfera paradossale assumo la funzione del pubblico ministero e condanno questa società». Parole in cui Pietro Maso, ancora adesso, non sembra trovare la sua squallida dimensione. Lui sorride, mentre i giudici stanno per processarlo. Nel settore riservato al pubblico, tanta gente: sono quasi tutti di Montecchia, molti giovani. Forse, in mezzo a loro, c'è anche, qualcuno di quelli che hanno scritto a Maso in carcere, per cercare di «aiutarlo in qualche modo». In prima fila, tra i compaesani, Elisa Caltran, sindaco di Montecchia. Guarda gli imputati e dice: «Non li abbandoneremo qualunque sia la sentenza». Cavazza e Carbognin le hanno scritto: «Quella sera non eravamo noi stessi». Gli studenti venuti ad assistere al processo sono smarriti, di fronte a questa vicenda. Un ragazzo racconta: «Io con Giorgio e Paolo giocavo a pallone. Erano come tanti altri. Per me, adesso, se lo meritano, l'ergastolo. Uccidere i genitori è la cosa più terribile che uno possa fare». Una ragazza concede un'attenuante: «No, secondo me non sono da ergastolo. Io credo che quando hanno fatto quella cosa non fossero in condizioni di mente normali». Da principio, in aula, più che sulle questioni procedurali la battaglia è sulle televisioni: ce ne sono sette, tra pubbliche e private, compresa un'emittente inglese. Ma Maso, Carbognin e Cavazza non le vogliono. Nei giorni scorsi hanno scritto al presidente della corte: «Crediamo che in questi mesi i mezzi di comunicazione abbiano già sondato, in maniera talvolta imprecisa, la nostra sofferenza, e ricostruito i fatti a noi imputati». La questione viene risolta con un'ordinanza: le tv sono ammesse soltanto fino all'apertura del dibattimento. La battaglia processuale sarà quella intorno alle consulenze degli psichiatri. Vittorino Andreoli ha stabilito che la volontà d'intendere e di volere di Pietro Maso era diminuita al momento del fatto. Quella degli altri due, no. I consulenti di parte sono di diverso avviso. E i difensori chiedono una nuova perizia, dibattimentale, sostenendo quanto meno la seminfermità mentale: la chiave per chiudere la porta dell'ergastolo. I giudici decideranno più avanti. Intanto, ecco il pubblico ministero tenere una relazione raggelante: la ricostruzione del massacro di Antonio e Maria Prima del delitto avevano progettato di annientare tutta la famiglia per l'eredità facendo esplodere la tavernetta Rosa Maso, quella sera del 17 aprile dell'anno scorso. «Da tempo Maso voleva procurarsi i soldi per un tenore di vita che per lui era piacevole». Circa un miliardo e mezzo, l'eredità dei coniugi Maso, che Pietro avrebbe spartito con gli amici. Nella rievocazione di Mario Giulio Schinaia, il primo progetto di morte: bombole di gas, collegate ad un timer, che sarebbero Tre immagini di Pietro Maso. In alto, dietro le sbarre e, a sinistra, tra i suoi difensori all'apertura in corte d'assise del processo scoppiate nella taverna della villetta. Pietro voleva sterminare l'intera famiglia: i genitori, le due sorelle, il cognato. Sarebbe rimasto l'unico erede. Un piano dietro l'altro, tutti «scartati», alla fine. Poi, nella relazione del pm, la sequenza dell'agguato di quella sera di aprile. Davanti ai giudici Nadia Maso, la prima delle sorelle, fa una fatica enorme a rendere la sua testimonianza. «Negli ultimi due mesi mio fratello era cambiato tanto. Ma i problemi di Pietro, mia madre se li teneva dentro. Non voleva darci pensieri». Giuliano Marchesini

Luoghi citati: Montecchia Di Crosara, Verona