Un velo lungo 13 mesi di Gabriele Beccaria

Un velo lungo 13 mesi Un velo lungo 13 mesi La scelta dei grandi elettori a colpi di milioni di dollari WASHINGTON. Per scegliere il 42° Presidente degli Stati Uniti ci vorranno 13 mesi e un po' meno di 500 milioni di dollari. Il più elaborato e costoso esercizio di democrazia al mondo - come l'ha definito il decano dei giornalisti americani, Theodore White - ma anche, e sempre più, uno show di immagini in cui i simboli ridimensionano le idee, come ha denunciato un altro Pulitzer, Hedrick Smith. La maratona è cominciata il 30 ottobre con la candidatura dei «sei nani democratici». E' proseguita il 10 febbraio nello Iowa, quando gruppi di iscritti al partito democratico e a quello repubblicano si sono riuniti in assemblee locali - i caucus - per discutere su chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca. Finirà il 3 novembre, il giorno dell'elezione presidenziale. E non ci sarà battito di ciglia che non passerà sotto l'occhio dei media. «Tutta la politica è cambiata per colpa vostra, ragazzi». L'invettiva di Lyndon Johnson contro i media - e contro la tv prima di tutto - è rimasta famosa. E da allora li si accusa periodicamente di aver stravolto un sistema elettorale, la cui complicazione nelle intenzioni dei padri fondatori avrebbe dovuto tenere sotto controllo la volontà e le passioni popolari. Gli americani, infatti, non votano direttamente per il Presidente e il suo vice, ma per i 538 «grandi elettori» che lo presceglieranno (la legge prevede che si riuniscano «il primo lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre». Il 6 gennaio il Congresso di Washington scrutinerà i 538 certificati e annuncerà l'elezione del Presidente, che si insedia il 20). Ma le comunicazioni in tempo reale hanno trasformato in una formalità questa delega, che - secondo lo storico Arthur Schlesinger Jr. - «neanche gli americani hanno mai capito veramente»: gli «elettori presidenziali» dichiarano sempre in anticipo la loro scelta. Ora, i mesi da qui all'estate saranno dominati dall'estenuante lotta per la «nomination», la candidatura a Presidente e vicepresidente da parte del proprio partito. Nei 50 Stati della Federazione la competizione si decide con i caucus e le elezioni primarie (fanno eccezione Connecticut e Rhode Island, che mantengono il sistema della convenzione degli iscritti di partito). E' già successo, però, che la «nomination» la si conquisti anche senza partecipare a questa corsa a ostacoli, come fece nel '68 il democratico Hubert Humphrey e come potrebbe ripetersi - così sperano i suoi fans - per Mario Cuomo. Le primarie - che si sono aperte ieri in grande stile nel New Hampshire e che culminano nel «Super-Tuesday», quando il 10 marzo andranno alle urne 11 Stati designeranno i 4284 delegati democratici e i 2206 repubblicani per le «conventions» nazionali di partito. Qui, dal 13 al 16 luglio a New York e dal 17 al 20 agosto a Houston, si voteranno i rispettivi candidati alla Casa Bianca. A questo punto - a settembre e ottobre - si scatenerà la fase decisiva della campagna, incentrata sugli otto Stati-chiave, i più popolosi. Nel «presidential election day» - il martedì dopo il primo lunedì di novembre di ogni quattro anni (quest'anno il 3 novembre) Bush e l'anti-Bush si contendono i 538 «voti elettorali», di cui dispone ogni Stato, più il distretto di Columbia. Per vincere, bisogna assicurarsene almeno 270. Il voto è a scrutinio di lista a maggioranza semplice. Sono fondamentali, quindi, gli Stati con il maggior numero di «voti»: California (54), New York (33), Texas (32), Florida (25), Pennsylvania (23), Illinois (22), Ohio (21) e Michigan ( 18). Si tratta di cifre pari alla delegazione parlamentare di ciascuno Stato al Congresso di Washington (i senatori sono sempre due, mentre i deputati sono in proporzione agli abitanti). La prima sfida per chi aspira alla Casa Bianca, però, è convincere la gente ad andare alle urne. Nell'84 i votanti furono appena il 52,9%. Quattro anni dopo la percentuale è ulteriormente scesa al 51 e i pronostici non promettono niente di buono neanche nel '92. E dire che per Alexis de Tocqueville la politica era «l'unica passione degli americani». Gabriele Beccaria

Persone citate: Alexis De Tocqueville, Arthur Schlesinger, Bush, Hedrick Smith, Hubert Humphrey, Lyndon Johnson, Mario Cuomo, Pulitzer, Theodore White