Buchanan dà un brivido alla seconda corsa di Bush

Buchanan dà un brivido alla seconda corsa di Bush Alle primarie del New Hampshire il Presidente in difficoltà: il falco repubblicano ha già il 40 per cento Buchanan dà un brivido alla seconda corsa di Bush WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Un campanello d'allarme straziante quello che ha scampanellato ieri in New Hampshire per George Bush. Quando lo spoglio delle schede elettorali era ancora in corso, per il suo sfidante repubblicano Pat Buchanan si profilava un successo superiore al previsto, attorno al 40% dei voti. Gli elettori del primo turno di primarie, che hanno votato in massa, hanno deciso che la corsa per la riconferma alla presidenza sarà per Bush più ripida di quanto tutti si aspettassero. Per il Presidente la giornata è cominciata con un sinistro presagio. I 39 abitanti del paesino di Dixville Notch, primo seggio contabilizzato, avevano espresso chiaramente l'insoddisfazione del corpo elettorale. Hanno, infatti, votato in maggioranza per un candidato sconosciuto, l'esponente del Partito Libertario André Marrou, che, con 11 voti, ha battuto il Presidente in carica di due lunghezze. Una magra consolazione per Bush aver ottenuto il triplo dei voti del suo concorrente repubblicano Pat Buchanan, quando gli ultimi sondaggi gli attibuivano un margine molto più stretto: 53% contro 31%. Rimaneva tutta la forza di quel segnale sconcertante: lo scontento degli elettori del New Hampshire era tale che preferivano votare per uno sconosciuto senza speranze piuttosto che per lui. Del resto, intervistato in mattinata, Bush, non nascondendo il timore di uscire ammaccato dal voto, aveva detto ai giornalisti: «Non mi chiedete pronostici, tanto sapete che non ne faccio. Dico solo che penso di vincere e spero che questo av¬ venga con il margine più ampio possibile». Ma il problema era proprio quello: la larghezza del margine. Non c'era ragione di sperare in un miracolo. In un certo senso Buchanan era l'unico ieri mattina a sapere che la sera avrebbe potuto cantare vittoria. E i suoi, mentre la gente si recava alle urne, hanno continuato a ripetere trionfanti: «Lo sapevamo che avremmo colpito duro». Buchanan, giornalista senza un curriculum politico di rilievo, aveva già in tasca il risultato che si era prefisso: imporsi all'attenzione per elezioni future e, nello stesso tempo, convogliare a Bush un messaggio di avvertimento da parte della destra repubblicana, che lo sostiene. Ma, nella notte, contati i voti e vuotati i bicchieri dei brindisi, anche Buchanan ha sicuramente cominciato a riflettere sul fatto che la parte migliore della sua avventura era già finita. In quale altro Stato avrebbe potuto fare meglio che nel New Hampshire? Quale futuro per lui? Poco da rallegrarsi anche per tutti e cinque i candidati democratici in lizza. La sera prima, due importanti personaggi del partito, il presidente della Camera Thomas Foley e il capogruppo del Senato George Mitchell avevano espresso la speranze che nitri cavalli di razza del partito di decidano a correre, visto là debolezza della squadra ar ;ale nel suo complesso. «Più sono meglio è», ha detto Mitchell. Tutti sanno che gli elettori democratici sono in attesa di «Mister Right», il signor «Quello Giusto», che potrebbe avere il volto di Mario Cuomo, di Lloyd Bentsen, di Richard Gephardt o di un altro. L'insoddisfazione per la squa¬ dra attuale è talmente diffusa che, ieri, il portavoce del revedendo Jesse Jackson, più volte candidato in passato, ha anticipato che il collaboratore di Martin Luther King ci sta ripensando e medita di entrare in corsa, dopo averlo escluso mesi fa. Per Paul Tsongas, quindi, sarebbe stata una magra consolazione anche quella vittoria sul malandato Bill Clinton, che i sondaggi di ieri mattina gli garantivano al 35% contro il 22%. Intanto, negli ultimi giorni, il consenso attorno a lui, dopo l'esplosione seguita alle rivelazioni sulle malefatte coniugali e militari di Clinton, si era ristratto di 9 punti. Ma, soprattutto, Tsongas non è mai riuscito a togliersi di dosso quell'etichetta di «candidato regionale» e alla fine non eleggibile. Clinton sapeva che, dopo il voto, avrebbe potuto dire: «Vedete, sono ancora qui, corro ancora, non mi hanno abbattuto». Avrebbe potuto coltivare il sogno di una potente resurrezione nel grosso turno di primarie del «supermartedì» del 10 marzo, quando voteranno 11 Stati, molti dei quali del «suo» Sud. Ma non avrebbe potuto nascondere del tutto a se stesso che, ormai, gran parte degli elettori lo considera «un morto che cammina». Per gli altri tre democratici, Bob Kerrey, Tom Harkin e Gerry Brown, comunque piazzati, dal voto non avrebbe potuto che venire la riconferma di essere ancora (e forse definitivamente) considerati dagli elettori dei personaggi di secondo piano. La corsa è iniziata, ma con una falsa partenza per tutti. Paolo Passarini Si vota a Dixville Notch. il più piccolo Comune del New Hampshire Alle urne sono andati in trentuno. Primo il candidato libertario André Marrou, con undici preferenze. Bush ne ha avute nove. Nel riquadro, un'immagine della campagna di Pat Buchanan il ghost-writer di Nixon che sfida il Presidente per la nomination repubblicana: «Voglio prendere Bush a colpi di mazza, come una pallina da golf»

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