Sgarbi assenteista pagherà 12 milioni

Sgarbi assenteista pagherà 12 milioni Il critico condannato dalla Corte dei conti Sgarbi assenteista pagherà 12 milioni ROMA. Vittorio Sgarbi, popolarissimo critico d'arte da teleschermo, è stato condannato dalla Corte dei conti a versare all'erario 12 milioni e 250 mila lire per il danno arrecatogli con le continue assenze effettuate dal 14 giugno '87 al 20 maggio '90 dal posto di sovrintendente ai Beni artistici del Veneto. Sgarbi assenteista, quindi? Per la Corte dei conti sì, Sgarbi è un assenteista anche se, invece di richiedergli i 38 milioni calcolati dall'accusa, si è limitata a pretendere la restituzione di 10 milioni, più spese legali e svalutazione monetaria, per la difficoltà trovata nel rilevare esattamente l'ammontare del danno. In una sentenza di cinquantasei pagine la seconda sezione della Corte dei conti in sostanza accusa Sgarbi di aver aggravato a bella posta la sua malattia per liberarsi dai compiti del lavoro d'ufficio; di aver mandato tardivamente e in maniera sciatta alcuni certificati medici; di non esser stato di buon esempio per i suoi dipendenti; di aver frequentato troppo intensamente salotti televisivi e salotti mondani nei 453 giorni di assenza compiuti nel periodo incriminato. Ma di quale malattia avrebbe sofferto Vittorio Sgarbi mentre si costruiva la sua carriera di divo del piccolo schermo tra il Costanzo show e il sabato della Carrà? L'elenco dei guai di Sgarbi è lunghissimo e si va dalle vertigini all'anemia, dall'insonnia alla tachicardia, dalla sindrome depressiva alla rinofaringite. Possibile però che tutti questi mali si facessero avvertire solo in orario di ufficio e svanissero, o si attenuassero, quando Sgarbi scriveva un saggio critico, partecipava a una festa, vergava una prefazione, e soprattutto si mostrava sorridente all'occhio delle telecamere pubbliche e private? L'avvocato di Vittorio Sgarbi Gianpiero Dell'Ara non vuole entrare nel merito della sentenza: non l'ha ancora letta perché ha appreso della decisione solo dai telegiornali, e già questo gli pare una scorrettezza. Però qualche parola se la lascia scappare. «Che colpa ne ha Sgarbi se la sua malattia si manifestava più violenta al mattino e meno alla sera, per cui gli era meno penoso partecipare a programmi televisivi notturni che andare ogni giorno alla sovrintendenza?». Più che su questo tema Dall'Ara, comunque, preferisce soffermarsi sugli aspetti squisitamente legali della faccenda: «E' certo che dopo la lettura della sentenza prenderemo una decisione, probabilmente ricorrendo in appello ma già adesso posso anticipare che due cose mi stupi- scono: la prima è la mancata richiesta di una perizia medicolegale, la seconda è la contraddizione palese tra questa decisione e altre adottate dalla stessa Corte. Mi pare evidente che quest'atteggiamento punitivo è figlio di un clima da caccia alle streghe. Se non si fosse trattato di Sgarbi ho il sospetto che non ci sarebbe stata condanna: ma questo non è fare giustizia è fare un processo sommario». E Vittorio Sgarbi che dice? Sgarbi da quest'accusa di assenteismo, naturalmente, s'è già difeso scegliendo il suo palcoscenico preferito: il quiz tv di Bongiorno. Da quel pulpito ha spiegato che non solo tutte le sue assenze sono sempre state giustificate, ma che, secondo lui, lo Stato avrebbe dovuto addirittura premiarlo sia per sue numerose pubblicazioni sia per aver dato lustro e fama alla professione di sovrintendente, un mestiere che prima del suo arrivo in tv, nessuno conosceva e apprezzava. [si. ro.] A casa ammalato per 453 giorni Il suo legale: caccia alle streghe il critico d'arte Vittorio Sgarbi. Dal 1987 al '90 è stato dipendente della Soprintendenza ai Beni Artistici di Venezia.

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