Gli Usa assumono mafiosi di Francesco La Licata

Gli Usa assumono mafiosi Allarme di Falcone, i clan italiani sono diventati padroni delle «famiglie» americane Gli Usa assumono mafiosi Diecimila siciliani per Cosa Nostra ROMA. Lenta, costante, ostinata, sotterranea come una congiura o fragorosa come il crepitio dei mitra, secondo le necessità, la conquista di Cosa Nostra americana da parte del clan dei siciliani sembra proprio un fatto compiuto. I «quadri» della mafia americana sono tutti, o quasi, giovani «paisà» sbarcati dalla Sicilia intorno alla metà degli Anni 70. Nella sola città di Philadelphia, in Pennsylvania, sarebbero quasi diecimila, tutti legalmente immigrati. Una intera comunità coinvolta negli affari delle «famiglie». Lo dice Giovanni Falcone, direttore degli affari penali del ministero di Grazia e giustizia. Secondo il magistrato, sono stati i siciliani a riempire i «vuoti di organico» provocati da un ritardo nel ricambio generazionale. I boss erano troppo anziani per fronteggiare l'avanzata della mafia cinese, dei portoricani, degli afroasiatici e delle organizzazioni criminali «sciolte». Così hanno dovuto fare ricorso ai «picciotti» arrivati dalla Siciba. «Il risultato - chiarisce Falcone, per chi non avesse capito - è.che ora le famiglie siciliane sono tornate ad avere una posizione di grande potere negli Usa». E rincara la dose, ricordando che, secondo la giustizia americana, la mafia rappresenta ancora l'organizzazione criminale più pericolosa negli Stati Uniti e John Gotti, seppure sotto processo, «uno dei più potenti capi della mafia anche se, come sempre accade quando questi personaggi vengono giudicati, si vuole dare di lui l'immagine di una persona che conti poco». Non è recente la «lunga marcia» dei siciliani verso i vertici della mafia americana. Era l'alba degli Anni 70, quando i cugini d'Oltreoceano si posero» il problema dei «picciotti» troppo turbolenti, sempre alla ricerca del dollaro e per questo incontrollabili. Si fece addirittura una «vertice» per affrontare la questione: le «famiglie» si ritrovarono ad Atlantic City e discussero a lungo. Stabilirono che i siciliani dovevano stare alla larga da Atlantic City e lontanissimi delle case da gioco, business esclusivo della mafia americana. E si stabilì, soprattutto, che ci doveva essere chi provvedesse a tenere buoni quei «bravi ragazzi» venuti da lontano. Furono scelti due boss che avrebbero risposto in prima persona di ogni «spiacevole inconveniente» provocato dagli ospiti. I «tutori» rappresentavano i due poli d'influenza territoriale della mafia americana: Carlo Cambino per New York, Nicki Scarfo per Fhiladelphia. Ecco perché il filo diretto tra la Sicilia e la Pennsylvania. Un filo che non si è più interrotto, fino ad arrivare ai numeri forniti dal giudice Falcone. II flusso è stato costante negli anni: i palermitani di Uditore e Passo di Rigano verso la Little Italy, quelli della provincia verso Philadelphia, con qualche prevedibile e inevitabile eccezione. Ma non è esagerato affermare che verso la Pensylvania si sia spostato un pezzo di hinterland palermitano compreso tra Borgetto, Torretta e la costa di Carini. Una prova? L'operazione Iron-Tower, un'indagine sul traffico di droga tra Palermo e Philadelphia appunto, prese il nome dalla traduzione delle due parole: Torretta (tower) per sottolineare l'elevato numero di affiliati originari di quel paese, e ferro (iron) dal nome dell'impresa di copertura (Ferro-food), che serviva per mascherare il business e distribuire gli stupefacenti servendosi di una catena per la ristorazione. Inutile aggiungere che a dirigere il traffico «alla pari» c'erano americani ma anche siciliani come gli Inzerillo, i Marinino e gli Zito. Questa alleanza tra «cugini» è la prova più evidente del salto di qualità compiuto dai siciliani, una volta usciti dalla tutela di Carlo Gambino, morto nel proprio letto e di Nicki Scarfo, calato di autorità. I loro successori, Paul Castellano e Philip Testa, contribuirono a rafforzarla ulteriormente. Una «pax» duratura, a dispetto della lotta che si combatteva a Palermo e in Sicilia. Un'intesa che andava oltre i I morti: «padrini» che nelle strade palermitane si sfidavano a colpi di «38», vedevano i loro corrispettivi americani far affari insieme.' «Gli affari sono affari», dicono i boss negli Usa «e i soldi non hanno odore. Nulla di personale, naturalmente». E a New York? Come potevano contare i siciliani, minoranza in una galassia di «famiglie» di rigida osservanza americana? Che c'entrano i «paisà» con quelli di Los Angeles, di Chicago, New Orleans, Cleveland o Boston? Per non parlare dei clan tadizionalmente più «lontani» come quelli di Denver o Kansas City, di Newark, Pittsburg, St.Louis o Tampa o Tucson? Il segreto sta nel «prestigio» di New York, da sempre governata da cinque famiglie, Bonanno, Colombo, Gambino, Genovese e Lucchese, ma con buone «ade- renze» nelle organizzazioni di Detroit, Chicago, Buffalo e, naturalmente, Philadelphia. New York «conta» di più. E lì i «paisà» sono tanti. Ma l'età media dei «capifamiglia», anche nella metropoli, è elevata e non tutti i boss possono muoversi, nel senso che la polizia americana gli ha datto sotto. Finirono in carcere: Tony Salerno, detto «il grosso», capo dei Genovese; Anthony «Tony Ducks» Corallo, capo dei Lucchese; Carmine «Junior» Persico, capo dei Colombo e Philip «Rusty» Rastelli, leader dei Bonanno. L'unico ad essere rimasto in circolazione era John Gotti, capo dei Gambino. Ma poi, 13 mesi fa, gli è stata revocata la libertà su cauzione. Devono a lui, i siciliani, un trattamento di favore. Perché? Il «padrino» li ha sempre utilizzati per imporre la legge del più forte: sono pochi ormai, negli Stati Uniti, i mafiosi che han voglia di rischiare la vita e la galera. Preferiscono stare in pantofole nelle megaville a spendersi i soldi della droga, delle estorsioni, del gioco d'azzardo o semplicemente i «giusti e legali guadagni» del reinvestimento dei dollari «sporchi». I siciliani, a .quanto pare, no. Sono sempre «a disposizione», hanno fegato, una buona mira e accorrono al richiamo del capo. Così Gotti è riuscito ad emergere, facendo fuori il suo vecdiio capo, Castellano, e contribuendo, ancor prima, alla eliminazione di Carmine Galante. Gotti è figlio di siciliani e, sebbene nato negli Usa, preferisce la «paiola d'onore» espressa in siculo. Ecco perché, ora che il capo è in carcere, i suoi amici «paisà» continuano ad essere temuti. Francesco La Licata John Gotti (di fianco), l'ultimo dei Padrini e sotto Giovanni Falcone, direttore degli Affari penali del ministero i Carlo Gambino (a sinistra) e Paul Castellano, «signori» della mafia americana