«Alla fiera del turpiloquio» molti i politici in prima fila di Filippo Ceccarelli
«Alla fiera del turpiloquio» molti i politici in prima fila «Alla fiera del turpiloquio» molti i politici in prima fila GROMA RAN trofeo turpiloquio. Primo classificato, Francesco Cossiga. Ma sul serio: all'inizio dell'anno il Presidente della Repubblica ha vinto il premio «Fuori dai denti», istituito a Milano dal «Teatro delle erbe», come primo personaggio pubblico «ad aver saputo parlare agli italiani con argementi e parole - recita appunto la motivazione fuori dai denti». E dire che erano i primi di gennaio. In neanche due mesi Cossiga s'è ben prenotato per un bis. «Io viaggio sempre con un corredo di spazzolini, dentifricio e colluttorio. Però stavolta non li ho con me e quindi non sono in grado di fare il nome di quel triste e tristo figuro» (che sarebbe il senatore Cabras): magari l'immagine non sarà così immediata, ma con quel riferimento a sciacqui e gargarismi, in quanto a volgarità ci siamo. E ci siamo anche con quel «mi fa un po' schifo» a proposito di Occhetto che coglierebbe margherite con le sue manacce. O a quel «vomitevole Carnevale» richiamato dal Presidente in occasione del ritiro della commissione di storici. Qui per la verità, pur avendo a che fare con i sensi, il garbo dell'eloquio era ancora un pochino trattenuto. Così come di allegra raffinatezza suonava, sempre a gennaio, ^attaccatevi al tram» dispensato a chi pensava alle sue dimissioni. O, a febbraio, quella «figura da peracottaro» che, purtroppo, Cossiga avrebbe fatto nei colloqui con Eltsin. Il vero salto di qualità prima del «mi sto incazzando», il numero presidenziale che azzerava rimarchevoli locuzioni tipo «ciccia» e «casino», insomma il primo tuffo nella rassicurante volgarità di ordine para-genitale, è avvenuto con la complicità del ministro Prandini - già noto per aver evocato di recente «la pisciatina» del rivale bresciano Martinazzoli ; dopo un'udienza al Quirinale. Ebbene, all'indo¬ mani del colloquio, il rappresentante del governo aveva attribuito al Capo dello Stato la seguente massima in tema di «attributi»: «La differenza - così lo pseudo-Cossiga - non è tra chi li ha e chi no, ma tra chi li ha al posto giusto e chi da un'altra parte». Inutile, adesso, stracciarsi le vesti. Sarà il più illustre e il più vibrante dei banditori, Cossiga, alla fiera delle volgarità. Ma non è il solo. Apri il giornale e trovi subito l'onorevole Di Donato che dice: «De Mita ce la vuol mettere in quel posto». Accendi la tv e trovi Gava che lancia «cacchiarola». La Voce repubblicana inaugura l'utilizzo della «cacca» nei fondi politici. Occhetto si divide tra la «pernacchia» e la «stitichezza». Bossi non rinnega lo slogan secondo cui «la Lega ce l'ha duro». Anzi, adorna l'immagine con una squisita considerazione: «Non vorrei che alla Lega si iscrivessero tutte le signore italiane». Mentre nell'aula di Montecitorio s'è potuto assistere più di una volta a un incantevole duetto fra l'onorévole Piro e l'onorevole Staiti. Canovaccio ormai piuttosto sperimentato. A un certo punto Piro trova il modo di citare Sciascia: «Uomini, ominicchi, quaracquaraqua e... e...». «Pigliainculoì», arriva trionfante Staiti. Sarà come dice Fori ani: «Quando cadono le ideologie si diventa tutti un po' più scostumati». Dipenderà, in modo meno epocale, dalle imminenti elezioni: la voglia di nemico come un tonico per rinvigorire stanchi discorsi destinati a stanchi elettori. Sarà, ancora, per amor di titolo. O per amor di popolo: io come tutti, se è vero - secondo l'analisi di Maledicta, the international journal of Verbal Aggression che le volgarità non sono più prerogativa delle classi incolte. Fatto sta che il fenomeno sembra davvero in crescita: come se si stia improvvisamente dilatando il sistema linguistico-espressivo del Palazzo. Un'ondata che la stampa registra in modo passivo, tra voyeurismo e puntini di sospensione, buffe attenuazioni (Cossiga «furibondo» invece che «incazzato»; lo «starnuto» invece che «la pisciatina») e tiepido sdegno. Intaccato il genere escrementizio e quello sessuale, per i politici restano da violare i tabù religiosi, gli insulti ai parenti e ai defunti. Oppure i gestacci, anche se qualche precedente (le storiche corna di Leone o la pernacchia di Donat-Cattin ai sindaci della Val Bormida) c'è già. Tutti a lezione da Funari. Oppure di nuovo a scuola, in caserma, all'oratorio. Sì, all'oratorio «Forse faccio parte di quei giovani cattolici - ha ammesso Cossiga - che le parolacce le dicevano anche in parrocchia. E se oggi il Presidente della Repubblica non è più un personaggio simbolico, può darsi che io abbia contribuì to». Può darsi? Sì, può darsi. Filippo Ceccarelli
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