E adesso rifacciamoci un Eden

E adesso rifacciamoci un Eden La Triennale di Milano: polemiche e nuove idee nella sfida all'ambiente E adesso rifacciamoci un Eden /progetti che conciliano uomo e natura RMILANO IFACCIAMOCI l'Eden»: sembra questo, un po' a, sorpresa, l'invito che Ivien fuori dalla 18a Triennale, dedicata al vasto te-' ma «La vita tra cose e natura: \\, progetto e la sfida ambientale» (fino al 3 maggio). Non un so-1 prassalto di utopia o di ottimismo ingenuo, perché i guasti cheì ci circondano sono ben presenti' a tutti. Si tratta piuttosto, par di| capire, di una consapevolezza, di una fiducia rinnovata nelle: possibilità di redenzione chei esprime la stessa tecnologia' quando è affidata a un buon! progetto. La modernità e l'industria non sono insomma il diavolo, Il design può rialzare la testa, riprendere a dare forma positiva1 al mondo. Dal milanese Palazzo) dell'Arte sembra quasi che si levi, un sospiro di sollievo, che si celebri la caduta di un Muro, dei catastrofismi e delle ideologie che condannavano senza appello le brutture esistenti. Strana edizione davvero, questa della Triennale. Non ha una giunta che la governi: i partiti sono lenti nelle nomine, e si sa da quali alchimie nazionali esse discendono: la presidenza della Triennale spetta al pds, quella della Biennale al psi, quella della romana Quadriennale alla de. Così lo scorso settembre il commissario straordinario Alberto Cavalli s'è trovato davanti a un bivio: o saltiamo l'edizione o facciamo qualcosa in fretta e furia per non perdere i contatti intemazionali. Ha deciso di fare, sotto una pioggia di frecce polemiche. «Io sono critico», dice ad esempio Pierluigi Nicolin, docente al Politecnico, direttore di «Lotus», membro della giunta esecutiva nella Triennale fino a tre anni fa. «La mostra è una toppa; il risultato è modesto. E' troppo milanese e i 17 Paesi invitati hanno portato fondi di magazzino. Perforza, dati i tempi. Non ce l'ho però con gli organizzatori, che si sono mossi in circostanze eccezionali, in pieno vuoto di potere». Nicolin se la prende con la presenza di alcune «merci», come le chiama: «Che c'entra una carrozzeria d'auto con la Triennale? E' un tentativo di riportar dentro l'industria». Dice che far vedere merci tocca alla Fiera; alla Triennale non spetta neanche più il compito di presentare le nuove tendenze nella progettazione, perché questa funzione è ormai svolta da altri «media», ma di esporre ricerca, provocazione, invenzione, riflessione. «Ora c'è anche la nuova legge, che consente il passaggio della Triennale a istituzione dall'attività permanente con museo del design, biblioteca e tutto quanto, sicché ogni mostra dovrà diventare la conclusione di un lavoro continuo». «Questa è l'ultima edizione immaginata all'interno del vecchio ordinamento», ammette il commissario straordinario Cavalli. A Nicolin replica Ugo La Pietra, che ha curato la prima sezione: «E' vero, la Triennale non ha struttura, si è fatta in tre mesi, non è l'esito di una ricerca. Ma è anche vero che i tempi strettissimi hanno obbligato a centrare alla svelta il cuore dei problemi. Questa Triennale ha il merito di comunicare in diretta la condizione del progettista oggi». Una Triennale-termometro. I suoi momenti sono tre: nove mostre ispirate al tema generale; gli interventi dei Paesi stranieri; una raffica di dibattiti e approfondimenti (catalogo Electa). I termini della contrapposizione di base (le cose e la natura) lo spettatore li coglie all'inizio, nella mostra «Naturale/ Virtuale» curata da Bettetini, Dorfles e La Pietra. Da una parte il rapporto diretto con la natura e le radici in una sorta di idillio, di confortante culla arcadica; dall'altra il rapporto mediato, con i soli fantasmi di una natura evocata sul video. Il tutto esemplificato in due case estreme apprestate da La Pietra: la casa-carrello, che l'uomo nomade si porta appresso buia e grigia, tutta metallica, irta di monitor e di prolungamenti del sensorio, centro di irradiazione e di ricezione del mondo; e la casa-paesaggio, distesa su un lungo tavolo rosa di 12 metri in ceramica faentina con dolci cipressi e stradine, al canto degli uccellini inciso su nastro. Dallo scontro frontale e didattico fra natura e artificio si passa poi alla loro complicità, al fidanzamento e al matrimonio. Bisogna però saperlo cogliere, il volto odierno di questi due universi. L'artificiale - come indica la seconda mostra, «NaturalMente», curata da Angelo Corte¬ si - si miniaturizza, si fa leggero e semplice, acquista una grazia quasi naturale: basta vedere il timone della barca «Il Moro di Venezia», un robot, una piccozza «air tech», una qualunque delle cose qui esposte. E il naturale si riscopre per esempio nell'ambiente ideato da Yves Klein: all'improvviso si rivela l'atto primario e creativo del respiro grazie a quel vapore immesso da tubi lassù in alto: una freschezza nuova entra nel sangue e l'erba brilla tutta umida. Su questa via, l'artificiale, l'industriale, diventa accattivante e benefico. La stessa natura è immaginabile al limite come prodotto progettato: ciuffi d'insalata ed altre erbette crescono nel fìtotrone, elettrodomestico trasparente che fabbrica verdura. Non ha bisogno di concimi velenosi, non risente del tempo. «La produzione ottenibile in un fitotrone raggiunge il 200% di quella ottenibile m serre tradizionali e il 600% di quella ottenibile in terreno agricolo», garantisce Francesco Trabucco, responsabile della terza mostra, «La natura delle cose». E la cucina del futuro è mirabolante: frigo senza Freon, gas dannoso, ma a «moduli polarizzati termoelettrici», e lavapiatti a spruzzi di ultrasuoni: addio detersivi inquinanti. Ancora. In vetrinette rifulgono i ricambi del corpo: protesi per peni, membrane di acido ialuronico per pelle artificiale, ossi sintetici, pacemakers lucidi come accendini. L'uomomacchina. Un omaggio ai trionfi della tecnologia salvifica. «Deve cambiare anche il nostro atteggiamento - dice Ezio Manzini, curatore del "Giardino delle cose" -. Non più la frenesia dell'usa-e-getta, ma l'elogio della lentezza, il rispetto e la cura per le cose». Subentra un'attitudine più contemplativa, che valorizza il raggio estetico sprigionato dagli oggetti, mute presenze liriche, natura seconda e dignitosa. Saper guardare e toccare senza feticismi, sapersi servire. Un universo felpato e quieto, finalmente in sintonia con l'uomo. Nelle altre sezioni lo sguardo si allarga al mondo. «Il nuovo paradiso terrestre si estenderà a tutto il pianeta», dice l'architetto Virgilio Vercelloni. «L'idea che ho del giardino non coincide infatti con un orto chiuso, ma con il territorio, il mondo stesso. Questo Eden non sarà più soltanto di natura, ma di uomo e natura. Combatto i terroristi ecologici, gli adoratori di Gaia, della Terra salva solo grazie alla futura scomparsa dell uomo: un delirio. Il lavoro vero è armonizzare Adamo e il verde. Possiamo farcela». Sfilano inni ai boschi, agli ecopiani, ai possibili musei di archeologia industriale lungo l'intero corso medio dell'Adda. Si citano filosofi. Scrittori come Del Giudice e artisti come Tadini danno il loro contributo. Una gran vivacità festosa, voglia di fare e di fare bene: questo comunica in definitiva la Triennale al visitatore-spettatore. Claudio Alta rocca Progetto di abitazione destinato a popolazioni povere e premiato per il design in Giappone. Qui accanto: casa solare con autarchia energetica

Luoghi citati: Giappone, Milano, Venezia