Algeria tormento dei reduci
Algeria tormento dei reduci Algeria tormento dei reduci Film di Tavernier sulla «sporca guerra» T BERLINO RENT'ANNI dopo, il regista Bertrand Tavernier presenta al FilmFest un lavoro storico straordinario che è un bellissimo filmdocumento di quattro ore su un evento tabù in Francia e adesso crudelmente attuale: quella guerra d'Algeria, 1954-1962, che segnò la fine del colonialismo francese. Il titolo La guerre sans nom (La guerra senza nome) è esatto per due ragioni: perché il conflitto durato otto anni non fu mai definito ufficialmente una guerra, ma un'operazione di polizia giacché l'Algeria faceva parte del territorio francese, così i soldati non ebbero neppure le provvidenze statali previste per i combattenti e i reduci; perché intorno a quel conflitto profondamente lacerante per la Francia è caduto per trent'anni il silenzio compatto della rimozione. Fra tanti registi presenti al FilmFest che, prima degli storici, ripercorrono e riscrivono la Storia recente, Tavernier sceglie di riconsiderarla «dal basso» e nella sua forma meno manipolata: niente spiegazioni o commenti di voci autorevoli, non un politico né un generale né un intellettuale famoso, nessuna citazione dei documenti cinematografici d'epoca fatalmente mistificati dalla propaganda bellica ma soltanto fotografie scattate dai soldati stessi, nessun inno ma le musiche che i soldati amavano, Petit fleur suonata struggentemente da Sidney Bechet, le canzoni cantate da Gloria Lasso, Le déserteur. Nessun filtro, soltanto testimonianze: la guerra d'Algeria è raccontata da quelli che la combatterono e che non hanno mai avuto la parola. Decine di uomi¬ ni non più giovani, dall'aspetto prospero, tutti di Grenoble e della sua provincia (per dare unità alle testimonianze e perché a Grenoble si svolse all'inizio, nel 1954, la più grande manifestazione contro la guerra), molti con cognomi che ne indicano l'origine italiana (Enrietti, Esposito, Petrone, Donazzolo, Innocenti), parlano della guerra. Ne parlano per la prima volta, sinora avevano taciuto: «Io non ho voluto pensarci più», «nessuno mi stava a sentire», «neppure i miei figli hanno mai chiesto nulla», «è doloroso». Ricordando per la prima volta, l'emozione è fortissima: le facce sciupate della maturità si alterano, gli occhi si fanno lucidi nell'evocazione della vergogna e degli amici morti, le voci si incrinano, mani si levano a nascondere le lacrime. Rappresentanti di quei due milioni e settecentomila soldati che la Francia spedì in Algeria a combattere una guerra sporca mai dichiarata, i protagonisti si confessano. La sorpresa, all'inizio: «Non capivamo perché, tutti dicevano che l'Algeria era come la Francia...», «Avevamo vent'anni», «Pensavamo che sarebbe durata pochi mesi, un anno, e invece...». Alcuni disertavano, emigrando. Altri rifiutavano di partire: e finivano, condannati a due anni e oltre di reclusione, in celle sotterranee buie di prigioni militari, manganellati dai para. I giovani comunisti erano i più sconvolti: la posizione del partito, le cui direttive seguivano la linea leninista «il posto dei soldato è nell'esercito», contraddiceva la moralità personale di alcuni ragazzi comunisti che rifiutavano di uccidere gli algerini, pagavano il prezzo della disobbedienza e oggi si rammaricano, «penso d'aver mancato di coraggio, avrei dovuto disertare, passare al Fronte di Liberazione Nazionale algerino, combattere accanto a loro». Poi la paura, e la violenza indimenticata: eccessi, tortura, esecuzioni in massa, distruzione di villaggi, ricatti che usavano le famiglie, le confessioni di crimini il cui orrore non può essere cancellato dal tempo, il rimorso tormentoso o il pragmatismo accomodante («è la guerra»), la stupefazione nell'accorgersi di aver preso gusto a uccidere, la solitudine spaventata dei distaccamenti isolati esposti alle imboscate algerine. Il film di Tavernier, convincente e commovente, fatto benissimo, appartiene alla grande tradizione di film-documento come Le chagrin et la pitie o Shoah, e dice che il Vietnam della Francia non fu l'Indocina ma la «guerra senza nome» dell'Algeria dove adesso altre guerre si riaccendono. I morti algerini furono centocinquantamila. I morti francesi ventimila. (1. t.] & MB Un'immagine del 1956: infuria la «sporca guerra», nella cashba di Algeri un gendarme francese controlla l'identità di un sospetto. In basso, il regista Bertrand Tavernier
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