Un'Olp senza Arafat Perché non pensarci? di Aldo Rizzo

Un'Olp senza Arafat Perché non pensarci? OSSERVATORIO Un'Olp senza Arafat Perché non pensarci? ALLA conferenza di Madrid di quattro mesi fa palestinesi e israeliani si parlano e persino si stringono la mano, ma la guerra continua. Nella notte tra venerdì e sabato, tre soldati israeliani sono stati trucidati nel sonno. E' seguita puntuale e spietata la rappresaglia. Secondo il ministro Arens, i terroristi appartenevano a Fatah, la sezione dell'Olp più vicina ad Arafat; ma la vendetta si è abbattuta anche sugli «Hezbollah», il partito del fanatismo islamico. Non c'è un nesso logico, ma c'è un nesso cronologico tra questo nuovo scambio di violenza e di morte e la registrazione, diffusa dalla Cnn, di una presunta conversazione tra Arafat e il suo rappresentante in Francia, Ibrahim Souss, nei giorni del caso Habbash. Secondo la Cnn si sente il capo dell'Olp definire gli ebrei «cani», «maledetti» e «marci»: con loro «regolerò i conti più tardi». Naturalmente Arafat e Souss hanno negato tutto, parlando di un montaggio e di un complotto. Gli si può anche credere, benché la Cnn sia stata finora celebrata per le sue testimonianze brucianti e veritiere, da Tienanmen ai bombardamenti di Baghdad; ma restano molte zone d'ombra. Se era un montaggio, la voce era comunque di Arafat? Il capo dell'Olp ha eluso la domanda. E se la voce era la sua, a chi si rivolgevano gli epiteti e le minacce? Basta la dichiarazione che lui non è un antisemita? Naturalmente Yasser Arafat è un personaggio molto complesso, che va valutato con attenzione. Presidente dell'Olp fin dal 1969, ha attraversato fasi drammatiche del Medio Oriente, assumendo atteggiamenti contraddittori. Ha avallato, quando non ha organizzato, atti feroci di terrorismo; in altri casi ha ufficialmente condannato episodi di brutale violenza, commessi fors'anche a sua insaputa da frange radicali o folli, ma ha sempre avuto parole di comprensione morale e politica. Ha difeso a lungo e con tenacia l'integrità della Carta dell'Olp, che prevedeva la I liquidazione dello Stato I ebraico. In seguito ha sposato la causa del realismo, arrivando al riconoscimento del diritto all'esistenza di Israele e per questo ha condotto un serrato confronto con le ali dure e irriducibili dell'Organizzazione: alle quali, tuttavia, ha sempre concesso qualcosa, salvando l'unità dell'Olp, ma nel segno persistente di una certa ambiguità. In questo contesto, ha usato spesso due linguaggi, uno per l'Occidente, moderato e rassicurante, e uno per i palestinesi, più duro e risentito. Fino al tragico errore di schierarsi senza riserve con Saddam Hussein nella guerra del Golfo. Tutto ciò ha fatto il gioco dei falchi israeliani, i quali hanno sostanzialmente convinto anche i moderati che con lui, personalmente, era impossibile trattare. A questo punto credo che sia matura una domanda, anzi «la» domanda: e se Arafat se ne andasse? Con tutti i suoi meriti e tutti i suoi torti, con tutto il suo passato coraggioso ma ambiguo. Beninteso: non per fare un favore a Israele, ma per rendere un servigio, l'ultimo servigio, ai palestinesi, che continuano ad amarlo o a rispettarlo, ma per i quali la sua presenza è sempre più ingombrante, sulla via della pace. In tutti i sensi, egli ormai rappresenta il passato, mentre i palestinesi, la stessa Olp, hanno bisogno di una guida limpida, tutta politica, espressione reale dell'evoluzione, che nonostante tutto c'è stata, nel cruciale rapporto arabo-israeliano. Una guida, per esempio, come quella di Feisal Husseini, un palestinese dell'interno, che difende tutte le ragioni dei suoi compatrioti, e dell'Olp, riuscendo ad essere anche un interlocutore credibile dell'Occidente. No, non sarebbe un favore a Israele, che non avrebbe più alibi per sottrarsi a un vero negoziato di pace. Aldo Rizzo IZO

Luoghi citati: Baghdad, Francia, Israele, Madrid, Medio Oriente