I serbi destituiscono il «falco» anti-Onu
I serbi destituiscono il «falco» anti-Onu Cade l'ultimo ostacolo ai Caschi blu I serbi destituiscono il «falco» anti-Onu La Krajina toglie la fiducia a Babic Oggi la Cee decide sulla Macedonia LISBONA DAL NOSTRO INVIATO A un mese dal riconoscimento di Croazia e Slovenia, e alla vigilia della decisione Onu per l'invio dei «caschi blu», la Cee cerca oggi di aggiungere la Macedonia alla lista dei Paesi nati dalla disgregazione della Jugoslavia. Ma a dispetto della «voce unica» che i 12 hanno finora saputo esprimere, e che oggi spingerà i ministri degli Esteri a dare la loro definitiva approvazione alla forza d'interposizione delle Nazioni Unite, il destino della Macedonia è precariamente legato all'esito di un dibattito fra chi vorrebbe il riconoscimento e chi - la Grecia - teme rivendicazioni territoriali di un nuovo Stato macedone. Intanto in Krajina un colpo di scena ha eliminato l'ultimo ostacolo al dispiegamento dei Caschi blu: il parlamento della repubblica dei serbi di Croazia ha destituito il presidente Milan Babic, il falco che si opponeva al piano Onu e sciolto il suo governo. Era stata la presentazione del rapporto Badinter - dal nome del giurista francese che guida la Commissione d'arbitrato della Conferenza di pace - ad aprire il 15 gennaio la via dei riconoscimenti Cee per le nuove repubbliche. Quel documento aveva segnalato la piena osservanza dei criteri Cee da parte di Slovenia e Macedonia. Ma i ministri della Cee avevano riconosciuto soltanto la Slovenia, affiancandole in quell'atto - per considerazioni puramente politiche - una Croazia per la quale Badinter chiedeva ulteriori garanzie costituzionali a favore delle minoranze. Per la Macedonia tutto era stato rinviato a tempi migliori: sarà oggi, al primo incontro dei mini¬ stri in un Portogallo che è presidente di turno, che si cercherà di sciogliere quel nodo. Atene ha energicamente contestato il sì di Badinter alla Macedonia poiché teme disgregazioni ed eventuali rivendicazioni etniche anche nella sua omonima regione. La Grecia non ritiene sufficienti le garanzie indicate nel rapporto, fondate sulla rinuncia macedone «a qualsiasi rivendicazione territoriale» e sulla dichiarata astensione di quella repubblica «da qualsiasi atto di propaganda ostile nei confronti di un altro Stato». Il governo greco, inoltre, non sembra disposto ad accettare la tesi di Badinter secondo cui «l'uso del nome Macedonia non implica in sé alcuna rivendicazione territoriale nei confronti di altri». Per la Macedonia, come per la Bosnia-Erzegovina che aveva avuto un responso negativo, i Dodici avevano quindi dichiarato che «importanti aspetti devono ancora essere considerati prima che un analogo passo sia compiuto dalla Comunità e dai suoi Paesi membri». Il momento, nelle intenzioni di Bonn e degli altri Paesi che avevano spinto per un rapido riconoscimento formale, è venuto. Ma Atene non ha ancora sciolto le sue riserve e a Lisbona, oggi, potrebbe presentare una controproposta. I Dodici, che nel momento più acuto della crisi avevano pensato a una forza d'interposizione, sostenendo poi l'iniziativa Onu che pareva più accettabile alle parti in conflitto, vorranno pronunciarsi senza reticenze alla vigilia della decisione operativa al Palazzo di vetro; esaminando anche le scelte dell'Orni per quanto riguarda la composizione dei reparti. [f. g.l
Persone citate: Babic, Badinter, Milan Babic
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