L'avventura di Stefì non finisce

L'avventura di Stefi non finisce qui Pacche sulle spalle e lacrimucce per le medaglie della Belmondo e di Giorgio Vanzetta L'avventura di Stefi non finisce qui Il trentino ha battuto la sfortuna «E dovrete sopportarmi fino al '94» LES SAISIES. Quelli dello sci di fondo azzurro non hanno ancora le strutture mentali per gestire astutamente la forza del loro sport. Alle prese con il bronzo di Giorgio Vanzetta sui 15 km e poi con l'argento di Stefania Beimondo sui 10, piangono, ridono, gridano, si abbracciano, si baciano come a una festicciola in casa. Con molto meno, splendidi furbastri di altri sport ottengono molto di più, si fanno irrorare di luci, attirano riflettori, applausi, denaro. Nel fondo funziona ancora la pacca sulle spalle, il bacio sulla guancia, il tenero tergere il sudore all'amico, al rivale. Tre ore di teatrino a Les Saisies, lo rievochiamo col presente storico. L'aggettivo, storico, sarebbe da applicare solennemente a un'Olimpiade in cui il fonetismo italiano comincia a pensare di poter essere, in un'ideale classifica globale, il migliore del mondo (ex Urss senza uomini, Norvegia senza donne, Svezia e Finlandia in crisi). Ma nessuno ce la fa, preferiscono dire «Urea il Giorgio», «Visto la Stefi?», e piangiucchiare di felicità. Il Giorgio ha recitato prima della Stefi. Questo Vanzetta ha 33 anni e subito dice: «Siccome ho preso finalmente una medaglia, dovete sopportarmi sino alla prossima Olimpiade, quella del 1994». Bella barbetta stirata dalla neve fioccante ma bagnata. Trentino della Val di Non, quella di Nones, ciclomane moseriano, Fiamma Gialla, due sorelle (una qui a far gare), 1,80, alla quarta Olimpiade fa finalmente il podio, prima conosciuto solo (argento) per una staffetta mondiale. «Se avrei fatto 100 mila chilometri di più in sci per una medaglia? Anche il doppio». E' partito con 50" di handicap rispetto al norvegese Ulvang vincitore della 10 km: «Se arrivavo prima su Albarello potevamo resistere non solo a Ulvang, ma anche a Daehlie che ha vinto». Paura che Albarello ti togliesse la medaglia? «Lo avrei ammazzato». Albarello è lì, dice: «Io mi sono ammazzato per finire terzo, ma non ce l'ho fatta. Se ce l'avessi fatta, sarei stato felice per me e disperato per Giorgio». E Giorgio: «Ho fatto così tanti quarti posti che mi hanno definito un perdente, in realtà sono, anzi ero, soltanto uno sfortunato». Microfono ad Albarello, faccia lui una domanda a Vanzetta. «Sei felice di questa medaglia?». «Ma che domanda del cavolo è?». Risatona. Gara del cavolo, e peggio ancora, è stata definita da Albarello questa 15 a inseguimento. Lui è per la solitudine sacrale del faticatore. «Però non devo guastare la medaglia a Giorgio». E chi gliela guasta? Secondo atto con Stefania Beimondo detta Stefi (finito con 'Trapulin', non le piace). Fa lei il proclama: «La prima medaglia del fonetismo femminile italiano. E ne verranno tante altre». Poi le dediche: «All'Italia. A chi mi ha aiutato. A papà, mamma, sorella e fratello: peccato che a Pietraporzio dove abitiamo si capti po- ca tivù, e male. A Italo Giubergia, a Alberto Berto, a Franco Giordanetto, che hanno costruito la mia carriera». Niente a Manuela Di Centa, che passa lì, decima, bronchitica? Bacioni fra lei e Manu. La Stefi parla con proprietà, è maestra di scuola, all'università studia lingue dopo avere cominciato con psicologia. Adesso dovrebbe entrare nella Forestale. Ha un fidanzato segreto. Ha tanti tifosi sulla collinetta sopra l'anfiteatro d'arrivo, di Pietraporzio e di Vinadio di Cuneo, dove è nata. Poi la domanda cruciale, senza la quale il giornalista sta male: cosa hai pensato quando passavi il traguardo? «Mi sono detta: è finita, posso sedermi». La storia, ingentilita, si ripete: finito di vincere, anno 1909, il primo Giro d'Italia Luigi Canna rispose, al giornalista bisnonno di quello di ieri a Les Saisies: «Ho pensato che mi brucia il culo, per fortuna ora posso scender di sella». Poi la Stefi va avanti: «Lunedì la staffetta». E venerdì la 30 km? «Piano, piano. Io sono una specie di cassetto, adesso ho tirato fuori la 10 e ci ho messo la staffetta». Pesa 46 kg, colleziona fatica. Come i maschi, d'altronde. Perché nel podismo un 10 mila schianta per settimane, una maratona per mesi, e qui fanno lunghe gare continuamente? Pare che il fondo chieda un impegno muscolare che non provoca traumi, mentre nella corsa il saltellare significa un'infinità di microtraumi. Comunque questi del fondo 3 minuti dopo la gara stanno sereni e composti come quelli della pubblicità del bagnoschiuma quando escono dalla vasca. Non hanno addosso neanche l'afrore del sudore. Su Stefania Belmondo, già carina di base, la fatica è un cosmetico. Gian Paolo Ormezzano La maestrina cuneese lancia subito un proclama: «E' il primo podio del nostro fonetismo al femminile ma verranno tanti altri successi, magari già domani con la staffetta» A lato, l'azione di spinta di Gunther Huber (a destra) e Stefano Ticci, secondi dopo due prove del bob a 2; sotto, l'azzurro Roberto Cecon viene soccorso e trasportato all'ospedale per essere curato ad un ginocchio dopo una rovinosa caduta in un salto dal trampolino da 120 metri L^xx::w::.;:v::v:;:::

Luoghi citati: Cuneo, Finlandia, Italia, Norvegia, Pietraporzio, Svezia, Trentino, Urss, Vinadio