«E la Cee è pronta a collaborare» di Fabio Galvano
«E la Cee è pronta a collaborare» «E la Cee è pronta a collaborare» Intervista a Pandolfi sui fondi alla ricerca In vista più aiuti, ma occorrono progetti mirati BRUXELLES DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Potrebbe venire da Bruxelles, dal programma di sostegno alla ricerca che Jacques Delors ha varato nell'ambito del suo piano per lo sviluppo della nuova Europa, l'aiuto all'Olivetti in difficoltà. «Sarebbe utile immaginare iniziative di sostegno comunitario a una cooperazione che veda il maggiore soggetto informatico italiano associarsi a partner internazionali», dice Filippo Maria Pandolfi. «La scelta - continua - non spetta alla Ceè. Non esiste, però, soltanto l'Ibm». Vicepresidente della Commissione Cee, responsabile del delicato portafoglio che amministra la ricerca tecnologica, Pandolfi non ha dubbi che esistano vie d'uscita: «Seguo l'evoluzione della vicenda Olivet¬ ti con l'interesse di chi si aspetta sul tavolo proposte di progetti mirati da parte di gruppi internazionali». La Cee aumenta gli sforzi per la ricerca: da 2,4 miliardi di Ecu a 4,4 nel '97, ovvero 6600 miliardi di lire. Basterà? E' finita un'epoca, quella dei programmi tipo Esprit che finivano per distribuire aiuti a pioggia, trascurando le tecnologie-chiave. Ora occorre dedicare una parte rilevante dei fondi, almeno il 40-50%, a progetti mirati, che la stessa industria deve individuare. Qualcosa va fatto: il saldo attivo del commercio estero Cee di manufatti è passato da 116 miliardi di Ecu nel 1985 a 50 miliardi nel 1990. I prodotti hi-tech rappresentano un terzo dell'export .Usa, un quarto di quello giapponese e soltanto il 17% della Cee. Delors ha anche sottolineato che la Cee dedica alla ricerca il 2,1% del Pil, come il Giappone di dieci anni fa. Oggi Tokyo è al 3,5 e gli Usa al 3,1... Soltanto la Germania, con il 2,8%, è competitiva. L'Italia è all'1,4. L'obiettivo della Commissione è proprio di colmare quel vuoto. I giapponesi hanno già realizzato aggregazioni su grandi progetti mirati. Da noi è più difficile, non siamo abituati alle sinergie tra produttori e utilizzatori. Prendiamo l'elettronica nell'auto: occorrono progetti mirati fra i produttori di microprocessori e le case automobilistiche. O l'auto catalitica. Lì esiste uno zoccolo comune sulle metodologie piuttosto che sul prodotto, un terreno di collaborazione che è l'industria stessa a dover identificare. E che ruolo avrà la Cee? Non deve più essere lei a fare progetti ma cercare piuttosto di mettere insieme i soggetti, come sto tentando per la tv ad alta definizione, per l'informatica, per l'auto. Concorrenza e cooperazione non sono incompatibili ma complementari. La Cee introduce questa strategia in molti settori. Le biotecnologie, per esempio, con il progetto Amica oppure i problemi delle città, con immissione di scienza e tecnologia nella gestione del fenomeno urbano: edilizia intelligente, terminali unificati per le telecomunicazioni, e così via. Il sentiero giusto anche per l'Olivetti? Potrebbe essere la carta in più. Non è troppo tardi, purché ci sia rigore nell'affrontare i vari passi necessari: affrontare grandi operazioni internazionali e altre di ristrutturazione interna. L'informatica per Bruxelles è una priorità assoluta? E' la tecnologia orizzontale per eccellenza, buona per rivitalizzare anche i settori maturi, tipo il tessile o la siderurgia. Ma l'informatica ha bisogno di associare grandi produttori europei e non europei, in primo luogo americani, nelle sviluppo di nuove tecnologie di hardware e software. Come capita nei semiconduttori... Certo, ci sono iniziative Siemens-Ibm, Sgs-Thomson con Philips, altre ancora si profilano. Il 1992 sarà l'anno della verità, un test della capacità del sistema di fare fronte alle sue sfide. La Cee non può essere e non è spettatore passivo. Fabio Galvano
Persone citate: Delors, Filippo Maria Pandolfi, Jacques Delors, Pandolfi, Philips, Thomson
Luoghi citati: Bruxelles, Europa, Germania, Giappone, Italia, Tokyo, Usa
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