Quell'« Avaro» di Bosetti di Osvaldo Guerrieri

Quell'« Avaro» di Bosetti Quell'« Avaro» di Bosetti Una bella squadra di attori per tutte le sfumature di Molière MILANO DAL NOSTRO INVIATO Resteranno molte cose nella memoria del pubblico che, nell'immensa sala del teatro Cercano, assiste in questi giorni all'avaro» di Molière messo in scena da Gianfranco De Bosio sulla nuova traduzione di Patrizia Valduga. Innanzi tutto resterà la sensazione di una regia rispettosa fino alla pignoleria di un testo grandissimo e tante volte tradito: una regia filologica, potremmo dire, ma non per questo esangue, né passiva, né priva di felicità descrittiva. Questo «Avaro», infatti, palpita di vita, insegue le numerose correnti che spirano nella casa di Arpagone, ci mostra i gesti quotidiani di ima famiglia schiacciata dalla smania possessiva dell'avaro e cinica essa stessa, poiché ne desidera la morte, lo beffa, lo deride. Giovani contro vecchi, antica guerra. E non è detto che questa volta i primi siano migliori. Pensate a Mariane, che ama Cleante e tuttavia, per voglia di denaro, accetterebbe di sposare il repulsivo Arpagone. Resterà la prova di Giulio Bosetti, che sembra spazzar via i vizi di tante interpretazioni per reinventare il personaggio in una luce verdastra di solitudine. Non c'è nulla di buffonesco nel suo Arpagone, semmai una tenue nota grottesca, il lampo di una fragilità travestita da tragedia. Il gesto magro, la voce incupita da chissà quale ombra del pensiero, Bosetti sa di affamare i servi e di angariare i figli; tuttavia non può resistere alla passione incontrollabile di cui è vittima. Il possesso del denaro per lui è tutto, è un tiranno più forte dei sentimenti e del senso del ridicolo. Basterebbe guardarlo nella scena in cui ritrova la cassetta del suo tesoro per capire che non ha ricuperato soltanto diecimila scudi, ma ha riconquistato l'anima. Che infelice felicità. Resterà, infine, la prova di un gruppo d'attori meravigliosamente equilibrati, ciascuno col proprio piccolo corredo di tic, di bassezze, di viltà. Ecco perciò Marina Bonfigli nella parte di Frosine la ruffiana; Massimo Loreto nel ruolo lamentoso di Mastro Giacomo, cuoco e cocchiere di Arpagone; Stefania Graziosi e Andrea Nicolini, rispettivamente Elisa e Cleante, figli di Arpagone; Giorgio Lo curatolo, impegnato a fare di Valerio la quintessenza dell'ipocrisia, poiché nessuno più di lui sa mentire, adulare, allisciare, al solo scopo di ottenere la mano di Elisa. Ora si può capire perché questo «Avaro» sia un grande spet- tacolo. Fluido nello svolgimento e meravigliosamente ritmato, è capace di insinuarsi nel nero degli animi e, insieme, di far saettare i lampi della risata. De Bosio, Bosetti, l'ottimo scenografo Pasquale Grossi - che ha inventato un severo rugginoso salone - e tutti gli altri hanno lavorato non da tenori ma da coristi, pensando all'insieme senza dimenticare mai Molière. Fatto notevole per uno spettacolo nato in estate (settembre 1990, Olimpico di Vicenza) e capace di conservare tutte le proprie virtù una volta ripreso per la normale attività di giro. Meritatissimi i frequenti applausi e le ovazioni finali. Osvaldo Guerrieri Glulio Bosetti ottimo protagonista

Luoghi citati: Milano, Vicenza