Incontro con il comico di Fidenza: faceva l'avvocato, è il personaggio del giorno in tv, a teatro e in letteratura

GENE GNOCCHI L'Italia sbilenca Incontro con il comico di Fidenza: faceva l'avvocato, è il personaggio del giorno in tv, a teatro e in letteratura GENE GNOCCHI L'Italia sbilenca DCOLOGNO MONZESE OVE vai a fare il coglione, questa sera? Me lo diceva mia suocera, i primi tem 1 pi che uscivo a cantare e far cabaret. Aveva sposato sua figlia ad un avvocato e di punto in bianco se l'era ritrovato "comico senza arte né parte". In provincia è così. Lei, poi, aveva anticipato i soldi per la casa e i mobili. Piangeva sempre...». Strascica la voce l'ex avvocato Eugenio Ghiozzi di Fidenza, in arte Gene Gnocchi, rivelazione umoristica di Italia I con II gioco dei 9 e Scherzi a parte, di cui va in onda questa sera la seconda puntata. Rivelazione soprattutto della magra narrativa italiana: un suo libro di racconti, Una lieve imprecisione, pubblicato da Garzanti, in pochi mesi ha quasi raggiunto le 100 mila copie. Diviso e «indeciso», come suggerisce Oreste del Buono, fra televisione e letteratura, Gene Gnocchi racconta in questi giorni a teatro in una sua commedia, Black out (esordio domani sera a Milano), i suoi rapporti fra il piccolo schermo e la pagina bianca. Si è, dice, inventata una autobiografia con un «grande» interrogativo: «Cosa fare con la tivù?». «In realtà - dice Gnocchi, schiacciato in un camerino degli studi di via Cinelandia - io la decisione l'ho già presa. Per me fare tivù è solo un lavoro. Io vivo a Fidenza, al mattino porto i bambini a scuola. Al pomeriggio vengo qui. Certe volte, arrivato al casello di Fiorenzuola, giro l'auto e torno indietro. Mi piace dormire al pomeriggio, ma veramente: mettendomi in pigiama. Qui in tivù lo sanno, mi mandano lettere di richiamo, tengono una sostituzione pronta, però mi vogliono bene. Come la gente che si accorge quando in trasmissione mi assento, non parlo, penso ai fatti miei. Ho anche dei buoni compagni di lavoro: Scotti, Teocoli». Ma dove va Gnocchi, quando si assenta? Toma al suo chiodo fisso, alla letteratura. Torna a guardare, da astigmatico, il mondo. Ci mette quella «beve imprecisione» di sguardo da renderlo leggero e irreale, buffo. Come capita ai due atleti che han «sempre visto il gioco da due punti di vista diversi, lui da centravanti, io da mezzala», e incontrandosi fuori campo non riescono a scambiare una parola. I personaggi di Gnocchi nascono dalle nebbie padane, stralunati e strambi, affaticati, fin dalla nascita, dal verbo «vivere». C'è chi non riesce a tenere gli occhi aperti e chiede un «addetto agli occhi», per controllare il campo visivo. C'è quel nonno che muore pettinandosi e allora tutti i nodi di un'esistenza si fanno imperiosi e imperscrutabili. C'è il ragazzo che vorrebbe andarsene da casa e pensa a quali oggetti può abbandonare, piombando in una ragnatela di affettività senza uscita. «La tivù impone la battuta, i tempi brevi, col racconto o a teatro posso lavorare meglio - dice Gnocchi -. In tivù dico anche le cose che la gente si aspetta, del tipo: Amanda Lear a forza di cambiar sesso, quando deve far pipì ormai deve consultare il libretto di istruzioni». Ma dove nascono questi personaggi, sbilenchi e un po' sfigati, di Gnocchi? A Fidenza, per la strada, o fra i contadini sulla piazza alla domenica. Entro nelle case, in campagna. C'è sempre una porta che si chiude, qualcuno che non ti fan vedere, che sta chiuso di là: una vecchia madre, un drogato, un matto. Ora vorrei scrivere un racconto lungo: Stato di Famiglia, la storia di un povero che cerca casa, che dopo aver prodotto tutti i certificati, gli chiedono uno stato di famiglia e lui fa una relazione sui rapporti familiari. Il gesto e il contenuto di questi rapporti gli costerà la casa. Come decide un avvocato di mollare lo studio e fare il comico? Mi annoiavo e poi scrivevo. Era appena morto mio padre e volevo prendere una decisione: cambiare. Mio padre mi avrebbe capito. Lui era un sindacalista della Cgil che se n'era andato dal partito per contrasti con Togliatti. Si era iscritto allo psiup, vendeva case prefabbricate che venivano dalla Cecoslovacchia. In famiglia siamo sei fratelli. Io avevo fatto legge, seguito dei corsi di filosofia con Anceschi. Frequentavo a Bologna Liliana Rampello, Alessandro Serra, Mario Lavagetto. A loro facevo leggere i miei racconti. Poi, con amici, facevamo le parodie dei gruppi rock americani, uno aveva preso il nome di Porcaro, uno di Cipollina e io quello di Gnocchi. Funzionava, facevamo le serate. A quel punto ho deciso di saltare. Fu allora che sua suocera si mise a piangere e a darle del coglione. E sua madre? Mia madre pensava solo alla mia salute, voleva che stessi bene e fossi felice. Mi ha seguito mia moglie, che è una ragazza intelligente. Certo avevamo già due figli. Ho avuto fortuna, Zuzzurro e Gaspare mi hanno aiutato, ho vinto la «Zanzara d'oro», è arrivata la trasmissione Emilio e il resto. E ho pubblicato il libro. Avevo paura che gli addetti ai lavori lo prendessero come «il libro del comico», lo snobbassero. Mi fa piacere che non sia stato così, un secondo dovrei riuscire a pubblicarlo. Dico solo no ai libri che vorrebbero fare con le mie battute televisive, - ^ Legge i suoi colleghi scrittori? Ho letto e amato Celati fino a Le avventure di Guizzardi, poi con le Novelle sulle apparenze mi ha lasciato freddo. Dice tutto e non c'è mistero. Ho letto un po' di giovani, Albinati e Veronesi. Ma son mondi lontani. A Legge avevo un professore, gran fautore della giustizia sostanziale, che ci faceva leggere Celine e i poeti. Diceva che l'esperienza della vita ci sarebbe venuta dalla poesia. A me piace Thomas Bernhard/ Cioran,- ci senti un gigionismo della morte che ha ancora un margine di vitalità. E uno come Zavattini, non rientra nel suo mondo geografico-letterario? Sono sempre stato incuriosito dal personaggio più che dallo scrittore. Come scrittore ha, forse, un po' troppo insistito sulla saggezza padano-contadina. Mi interessa di più Flaiano, quello amaro, esistenziale. Per il cinema non ha ancora fatto nulla? No. Mi offrono Vacanze di Natale, Abbronzatissimi. A me il cinema piace, così dico di no. Forse farò una parte in un film che Starno girerà da un racconto di Altan. Aspetto e vado al cinema. Mi piace Almodóvar, per come sa raccontare i lati oscuri dei rapporti familiari, storie di nonne che tengono chiuse a chiave le bottiglie d'acqua minerale... Con il mondo televisivo quali rapporti ha? Nessuno. Lavoro a Milano e vivo qui. A Fidenza gioco al biliardo, al calcio... E con quello letterario? Ogni tanto mi chiama Luciano Erba, mi consiglia un libro da leggere, le poesie di Ponte, quelle di Larkin... Che idea si fa del suo futuro? Non ce l'ho. Ho giocato a pallone, nel '72 e nel 73 ad Alessandria, in promozione. Ero una mezz'ala. Finché funzioni e servi, tutto bene. Poi ti arriva un calcio in culo. Se lo sai non ti stupisci. Sei preparato, ci soffri meno. Gnocchi deve scendere in studio a registrare il Gioco dei 9, fisicamente sarà lì, ma con la testa è possibile che fugga verso un racconto dove c'è qualcuno che gira per le strade a chiedere una casa in affitto, perché gli serve «una stanza in più». O che stia cercando di capire dove la ragazza «proiettile-umano» del Circo sia stata scagliata dal padre geloso che non vuol intorno possibili generi e allora, ogni sera, puntando il cannone oltre la volta del tendone, la spara in direzioni imprevedibili. E' certo che alla «condanna» televisiva non sfuggirà: a settembre farà un Apostrophes co mico dove parlerà, seriamente, di libri. Nico Orango Foto grande, Gene Gnocchi. A fianco, il regista Almodóvan («Mi piacciono le sue storie») e Zavattinì («Che personaggio») Il vignettista Attan («Forse parteciperò a un film tratto da un suo racconto») In alto, foto di gruppo di «Scherzi a parte» GENE GNOCCHI L'Italia sbilenca