Un Ceausescu nell'Asia; a Samarcanda proibito il milanese

Un Ceausescu nell'Asia; a Samarcanda proibito il milanese LETTERE AL GIORNALE Un Ceausescu nell'Asia; a Samarcanda proibito il milanese Marx in India (ma con terrore) Noto con piacere che il mondo stia scoprendo ciò che avviene nell'india comunista del West Bengal (mi riferisco all'articolo «Marx è vivo e lotta tra i dannati di Calcutta», La Stampa del 12 febbraio). Chi scrive, a differenza degli «irriducibili» di sinistra, ha vissuto a Calcutta e nel Bengala, sperimentando persun aimente tutto il terrore e la repressione istigati dal partito comunista (marxista) indiano, il famigerato Cpi(M), guidato da Jyoti Basu, un personaggio che gli intellettuali progressisti indiani chiamano «il Ceausescu d'Asia». Cinque persone che conoscevo personalmente, tra cui un anziano sannyasin, sono state recentemente rapite, torturate e uccise da elementi del Cpi(M), nel distretto di Purulia, West Bengal. Progetti di riforestazione ed educazione nelle zone povere e desertiche come quello di Ananda Nagar, sono stati ripetutamente assaltati e distrutti dai Cpi(M), gelosi della crescente popolarità di queste iniziative umanitarie. E' ancora fresco nella memoria dei bengalesi il caso di Patricia Munday, già Premio Nobel per la pace e volontaria dell'associazione Ananda Marga di Calcutta che, dopo aver miracolosamente scampato un attentato da parte dei Cpi(M) è stata successivamente segregata per un mese dalla polizia in un ospedale di Calcutta nel tentativo di soffocare lo scandalo. Anche la sede della missione di Madre Teresa è spesso soggetta ad attacchi e provocazioni subiti in silenzio. Soprattutto nelle aree rurali, squadre di criminali al soldo dei Cpi, mantengono un regno di terrore e oppressione. E' infatti solo sul terrore e l'oppressione che il comunismo può temporaneamente sopravvivere in una cultura profondamente spirituale come quella del Bengala. Questa è la realtà di chi nel Bengala comunista ci vive, e la sofferenza e l'insofferènza stanno raggiungendo dimensioni tali da far prevedere il crollo di questo regime dispotico in un tempo non lontano. La popolazione del Bengala sarà sempre molto grata a chi, facendo luce sulla realtà, la aiuterà a raggiungere la vera democrazia e la libertà. Marco Bramardi, Torino Se al posto degli italiani nasceranno i polacchi Ho letto con meraviglia che anche le considerazioni relative al calo demografico nel nostro Paese possono puzzare di razzismo. Puntualizzando intanto che «razzismo» significa volontà di sopraffazione nei confronti di un popolo a torto considerato di razza «inferiore», il dato denunciato ha ben altri risvolti. Sono d'accordo che siamo troppi nel mondo e in Italia, ma ciò non significa che dobbiamo sostituire con altre persone i figli cui rinunciamo. Supponiamo, per evitare accuse di razzismo, che i preventivati 3 milioni di italiani in meno siano sostituiti da 3 milioni di polacchi di età compresa tra 25 e 44 anni. Essi non sarebbero pari all'incremento naturale della popolazione italiana, ma addirittura pari ad un terzo della popolazione italiana «di quell'età». Ciò significa che i loro bisogni sarebbero superiori a quelli di un pari numero di nati italiani, perché sarebbero adulti, tutti in cerca di lavoro, di una casa, di servizi e pronti a procreare con regole diverse, dato che sono più cattolici di noi. Ciò significherebbe un raddoppio del numero di persone in cerca di lavoro nel 1990. Se abbiamo un deficit in qualche cosa (case, ospedali, servizi), al raddoppiare della popolazione è necessario raddoppiare tutto ciò che si ha per mantenere inalterato il deficit che già è insopportabile. Ecco perché è bene diminuire di numero, ma a patto che non si sostituiscano gli assenti con altri che hanno bisogno «subito» di ciò che avrebbero bisogno in seguito e gradualmente i nostri figli. Rifiutando categoricamente il razzismo, bisognerebbe che qualcuno dicesse dove e come trovare quello che i nostri giovani disoccupati e i vecchi pensionati a 300 mila il mese non riescono a trovare. Non abbiamo bisogno di dichiarazioni antirazziste, sulle quali siamo d'accordo (spero) tutti per ragioni di decenza e di umanità, ma di piani operativi subito, senza cui tutti i discorsi hanno significato non antirazzista, ma elettorale. Renzo Firmo, Sassari Santoro ha le mie idee ma è troppo di parte Vorrei fare alcune considerazioni in merito alla trasmissione Samarcanda del 6 febbraio a cui hanno partecipato Orlando e Bossi. Santoro è probabilmente uno dei più capaci e coraggiosi giornalisti Rai e lo dimostra ogni volta. Purtroppo Santoro ha anche le sue idee politiche; purtroppo non in senso negativo (tra l'altro sono anche le «mie» idee politiche), ma nel senso che a volte le lascia trasparire in modo troppo evidente, inficiando in parte il ruolo di equanime conduttore al di sopra delle parti. Durante i filmati iniziali un operaio è stato rimproverato per aver parlato in dialetto milanese, mentre subito dopo la stessa cosa non è successa ad una donna che parlava in dialetto meridionale. Può darsi che il primo parlasse dialetto per vezzo e la seconda non fosse in grado di parlare italiano, ma mi è venuto da pensare che alla Rai parlare in napoletano o romanesco sia lecito, in piemontese o milanese no. Essendo io toscano di nascita, mi trovo un po' a disagio in entrambi i casi. Più avanti lo stesso Santoro a Bossi,che stava dicendo: «Bisogna che al Sud smettano di votare gli stessi politici di sempre», ha troncato la frase subito dopo la parola «votare», e ha'commentato che la Lega «vuole il voto solo al Nord», non credo che per questo gli ascoltatori abbiano scambiato Bossi per un novello Mussolini, ma forse un po' di più di attenzione non guasterebbe. Infine il continuo chiacchiericcio del conduttore in sottofondo a certi interventi piuttosto che ad altri, dimostrava una certa insofferenza per prese di posizione che evidentemente non erano condivise dalla trasmissione. E' comunque vero che Santoro e Samarcanda sono un esempio sempre più raro di come dovrebbe essere la «televisione». Paolo Andreotti, Torino Il catalogo di Matisse Nel numero del 27 gennaio è uscito un bell'articolo di Marco Rosei sulla mostra di Matisse attualmente in esposizione a Palazzo Reale a Milano. Erroneamente l'articolo attribuisce il catalogo ad altro editore invece che alla nostra società, United Technologies Corporation, che oltre a pubblicare il catalogo ha patrocinato e consentito la presentazione di questa importante mostra sia a Milano, sia in precedenza, a Roma. dott. Gabriele Musatti, Milano responsabile ufficio stampa United Technologies Italia Effettivamente il catalogo della mostra di Matisse è stampato a cura della United Technologies e distribuito da Mazzotta Editore. Sono incorso nell'equivoco di attribuire l'edizione a Mazzotta in quanto detta casa editrice cura la vendita del catalogo alla mostra di Milano. [ma. ro.] Marramao da Giannini senza minacce Leggo su La Stampa del 13 febbraio che, secondo il mio amico Giacomo Marramao, gli avrei rivolto «minacce», dopo averlo «autorizzato» a candidarsi nella Usta del prof. Giannini. Per quanto riguarda la «minaccia», mi sono limitato a ricordare che la candidatura in una Usta concorrente è incompatibile con l'iscrizione al pds. C'è' scritto neUo Statuto, ma è una regola di ovvio buon senso, come chiunque può comprendere. Per quanto riguarda la «autorizzazione», il dialogo è stato il seguente (sabato 8 febbraio, al convegno deUa Sinistra dei club): Marramao: «Caro Cesare, stai tranquillo, non mi candiderò con la Usta di Giannini». Salvi: «Caro Giacomo, per quanto mi riguarda sei Ubero di candidarti con chi ti pare». E sono stato preso in parola. Cesare Salvi, Roma deputato pds Nell'articolo citato non si parla mai di «minacce» personali rivolte da Cesare Salvi a Giacomo Marramao. [p. bat.].