«Sulla Moby Prince nessuna bomba di Renato Rizzo

«Sulla Moby Prince nessuna bomba» Ma il giudice conferma: «E' stato un attentato, le tracce di tritolo non le abbiamo inventate noi» «Sulla Moby Prince nessuna bomba» Iperiti del ministero smentiscono il magistrato LIVORNO DAL NOSTRO INVIATO I quattro uomini in tuta bianca escono dalla carcassa rugginosa del «Moby Prince» stringendo in mano pochi foglietti di carta: sono appunti esigui, frettolosamente scarabocchiati a biro, ma bastano per coprire il traghetto della morte con una nuova, fitta rete di misteri. Questi quattro periti della commissione nominata dal ministero della Marina Mercantile, infatti, mettono in dubbio, dopo il loro sopralluogo, la certezza avanzata l'altra mattina, e ribadita ieri, dal giudice Luigi Di Franco che dirige l'inchiesta sulla più terribile sciagura del mare dell'ultimo mezzo secolo: «Nello scafo - dicono - non abbiamo trovato traccia dello scoppio di una bomba, ma solo segni di un'esplosione uniforme e diffusa dovuta, probabilmente, a sacche di gas». Per tutta la mattina hanno frugato dentro questo angosciante scheletro di ferro ormai ridotto ad antro da pipistrelli: ne hanno ispezionato le stive, fotografato gli squarci, sondato gli angoli più nascosti, compreso il locale delle eliche di prua dove un emissario della criminalità organizzata, secondo il magistrato, avrebbe posto una carica di tritolo. «Non abbiamo notato nessun focolaio, nessun cratere da scoppio» è stata la considerazione finale della commissione composta dall'ingegner Corradino Ciampa, docente d'Impiantistica navale, dal comandante Antonio De Rubertis, esperto di sicurezza della navigazione, dall'ingegner Luigi Boeri, in rappresentanza della Regione Toscana, accompagnati dal capitano Gaetano Paolillo, perito delle assicurazioni. Parlano poco, i commissari, ma dalle loro mezze frasi si può strappare un'altra considerazione: «Lo scoppio potrebbe essere avvenuto per il surriscaldamento di una miscela di gas propano e butano che esplode attorno ai 400 gradi». E' la stessa tesi che, da Brescia, avanza il colonnello Ro mano Schiavi, esperto in esplosivi che si è occupato, recentemente, dell'attentato ai piloti Bellini e Gocciolone ^ che è perito del Comitato Fa miglie vittime del «Moby Prin ce»: «Non basta un semplice esame chimico come quello condotto dai laboratori dell'E nea a Roma per avallare con certezza l'ipotesi-bomba. Un esempio: si parla di miccia, ma qualcuno ha rilevato la presenza di clorati che testimo niassero l'uso di questo innesco?». E' un fiume in piena, il colonnello: «Si possono realizzare esami attendibili in un solo pomeriggio? Sono state raccolte campionature per im postare i necessari paralleli con altre parti dello scafo?». Nei prossimi giorni Schiavi compirà un sopralluogo sul re litto, quindi redigerà una controperizia da opporre a quella che riunisce gli accertamenti dell'Enea, anticipati in queste ore, e che verrà depositata il 26 febbraio. Ed ecco che la presenza della bomba, unica «certezza» raggiunta in dieci mesi di indagini su questa strage con 140 morti, diventa, a poco a poco, meno «certa». Altri colpi di piccone contro la ricostruzione del magistrato inquirente arrivano dal legale dei famigliari delle vittime, avvocato Antonio Galasso: «L'esplosione è un elemento inquietante, ma, per l'esperienza maturata anche con la vicenda di Ustica, so quanto sia grave cedere alla suggestione di ipotesi che possano apparire sensazionali e quanto ciò abbia suscitato deviazioni nella ricerca delle responsabilità». Galasso pare dare qualche credibilità all'ipotesi che la nave trasportasse illegalmente dell'esplosivo, ma afferma che le radici della tragedia sono probabilmente da ricercare in un guasto alla timoneria e all'apparato elettrico. Anche perché l'unico sopravvissuto, il mozzo Alessio Bertrand, «non ha sentito scoppi». Inamovibile nelle sue convinzioni, il pubblico ministero Di Franco continua a sostenere che a bordo del «Moby», quella sera del 10 aprile, si verificò un attentato: «E' sicuro che l'esplosione non è dovuta a gas. I macchinari dell'Enea non hanno trovato tracce né di propano né di butano, ma residui di una carica di tritolo, nitrati d'ammonio e G.B. (una gelatina usata anche come esplosivo da cava, ndr)». Eppure i membri della commissione della Marina Mercantile sembrano smentire le sue affermazioni. «Li avevo invitati a compiere il sopralluogo dopo aver letto l'intera perizia, ma se loro hanno fretta di chiudere...». Che cosa obbietta a chi dice che non si trova il focolaio della bomba? «Dico che questo non significa niente. Magari l'ordigno era stato collocato a mezza altezza». E che cosa risponde a quanti sospettano che i residui di esplosivo possano esser stati «seminati» dopo l'incidente per depistare le indagini? «E' provato che queste so¬ stanze non sono state riportate». La soluzione dei tanti interrogativi che affollano una storia di dolore e di morte sembra sempre più scritta nel cielo: nelle fotografie che i due satelliti Usa e Nato devono, quasi sicuramente, avere scattato quella sera mentre scrutavano la rada in cui erano ormeggiate navi americane cariche d'armi di ritorno dal Golfo. Il magistrato ha nuovamente chiesto, attraverso il ministero della Difesa, l'acquisizione di questi documenti già sollecitati a novembre. Ancora nessuna risposta. E i sospetti e la rabbia crescono a Livorno, città dei misteri insoluti in provincia di Ustica. Renato Rizzo La Moby Prince sta ancora bruciando ed è circondata dai mezzi di soccorso, nella tragedia di Livorno morirono 140 persone Luigi Di Franco, il magistrato che dirige l'inchiesta

Persone citate: Alessio Bertrand, Antonio De Rubertis, Antonio Galasso, Corradino Ciampa, Gaetano Paolillo, Galasso, Luigi Boeri, Luigi Di Franco, Prin

Luoghi citati: Brescia, Livorno, Roma, Toscana, Usa, Ustica