Ma resta il senso della lettera di Massimo GramelliniGiuseppe Galasso
Ma resta il senso della lettera» Ma resta il senso della lettera» //parere degli esperti nominati dal Quirinale ROMA. «Se fossi Andreucci, querelerei chi adesso parla di falso. Perché non si può parlare di falso quando le correzioni sono ininfluenti». Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni, non rallenta. «Le modifiche, pur non cambiando la sostanza, ci richiamano all'esigenza di una lettura molto, molto scrupolosa». Gabriele De Rosa, presidente dell'istituto Don Sturzo, tira il freno. Chissà cosa sarebbe successo a Mosca, dove i due professori - inseriti da Cossiga nella commissione di storici poi abortita - avrebbero dovuto emettere un verdetto comune sull'originale di Togliatti rivelato ieri da «La Stampa». Tamburrano ha letto il giornale con la lente d'ingrandimento: «E' la calligrafia di Togliatti. E nella nuova versione la lettera è anche più togliattiana di prima. «L'espressione "vecchio Hegel" gli assomiglia assai più della precedente, "divino Hegel", che aveva creato qualche perplessità sull'autenticità del documento. Comunque, se la bagarre politica riguardava la frase iniziale, le correzioni non cambiano nulla. Togliatti esprime il suo pensiero con il cinismo tipico dello storicista hegelian-marxista. Il ragionamento che traspare dalla lettera è: non possiamo fare nulla per salvare gli alpini, e poiché nulla possiamo fare, tanto vale prendere atto che quel che succederà, e cioè la loro rovina, potrà avere oggettivamente e ineluttabilmente (eccolo, il "vecchio" Hegel) un esito positivo per la nostra causa». Rimane il mistero degli errori e delle omissioni contenuti nella prima versione della lettera. Un «giallo» che non appassiona il socialista Tamburrano («Una parola letta male, una frase eliminata forse perché considerata ininfluente») e trova invece nel cattolico De Rosa un osservatore più preoccupato: «La vicenda ci insegna ad utilizzare con maggiore cautela questo tipo di documentazione. Resta confermata quella perplessità che avevo avanzato al presidente Cossiga, quando pensò di costituire la commissione». Ad inquietare De Rosa è la discutibile attendibilità delle fonti russe: «Bisogna accertare la consistenza dell'archivio e dei documenti che vengono sottoposti all'attenzione dello storico non certo per accertare la verità storica, che richiede ben altro tempo e lavoro». Ma la commissione voluta da Cossiga avrebbe fatto affiorare questa «verità»? «Le ultime rivelazioni dimostrano che la perizia era giustificata», sostiene lo storico e senatore repubblicano Giuseppe Galasso, terzo componente della mancata spedizione presidenziale. Analogo rammarico viene espresso da Tamburrano: «In un caso così facile alle strumentalizzazioni, la commissione sarebbe stata quanto mai opportuna. Così invece assistiamo a novità giornalistiche, che chissà quando finiranno. Avevo accettato l'offerta di Cossiga per poter interpretare meglio l'episodio, inserendolo in un contesto più completo: vedere l'originale della lettera di Bianco a cui risponde Togliatti, comprendere i motivi che avevano spinto Bianco a scriverla, e scoprire se aveva poi controreplicato al leader comunista. Il putiferio che si è scatenato intorno a questa vicenda mi ha impedito di andare a Mosca. Un vero peccato. Ci hanno chiamato "storici di corte". Ma come si fa? Volevamo soltanto capire». Massimo Gramellini Da sinistra: gli storici Giuseppe Tamburrano, Gabriele De Rosa e Giuseppe Galasso
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