Nel mare scoppia una nuova Ustica di Renato Rizzo

Nel mare scoppia una nuova Ustica Un attentato causò il disastro della Moby Prince, la stiva era imbottita di tritolo Nel mare scoppia una nuova Ustica L'ordigno ha fatto cambiare rotta al traghetto Navarma Tre ipotesi: racket, terrorismo o vendetta di rivali LIVORNO DAL NOSTRO INVIATO Attentato: i 140 passeggeri della «Moby Prince» sono morti perché qualcuno ha collocato, nel ventre della nave che doveva portarli in Sardegna, una carica di tritolo e nitroglicerina. E' stato questo esplosivo, squassando la parte di prua, ad imprimere al traghetto della Navarma la rotta ubriaca che, nella notte del 10 aprile '91, l'ha fatto vagare nella rada di Livorno fino a dirigerlo contro una petroliera dell'Agip. Attentato: la parola che, fino a qualche settimana fa nessuno voleva pronunciare ma che aleggiava sinistra su questo scafo devastato, attraversa ora Livorno come un brivido, aggiunge rabbia e sconcerto tra i famigliari delle vittime. E carica di altri misteri questa Ustica del mare in cui i testimoni non ricordano quanto' dovrebbero aver visto e sentito e i servizi segreti non chiariscono quanto dovrebbero aver visto e registrato attraverso i loro satelliti che, quella notte, scrutavano il mare di Livorno. La mano assassina che ha innescato l'inferno a bordo della nave dovrebbe essere quella della criminalità organizzata: forse la camorra che ha voluto punire con questo gesto criminale il possibile rifiuto della compagnia armatrice di piegarsi al racket delle estorsioni, anche se la Navarma nega di aver mai ricevuto minacce. Il sostituto procuratore della Repubblica di Livorno, Luigi De Franco, pur privilegiando questa ipotesi, non ne trascura altre due: il terrorismo e, in subordine, la vendetta privata. «In ogni caso - chiarisce l'attentato è sicuramente andato al di là delle intenzioni di chi l'ha compiuto. Una cosa è certa: l'obiettivo era la nave, non i suoi passeggeri». Ma sulla matrice dell'attentato ieri è stata fatta un'altra ipotesi: a provocare la tragedia fu una società concorrente alla Navarma? L'ipotesi è stata fatta durante la trasmissione tv «Studio Aperto». Secondo una telefonata anonima arrivata in reda¬ zione (ma non trasmessa in diretta) i mandanti dell'attentato andrebbero ricercati tra le imprese marittime. Una cosa certa è «il grande sobbalzo» che la carica ha fatto compiere al «Moby Prince» se, come De Franco crede, tritolo e nitroglicerina sono esplosi prima della collisione con la petroliera. Il magistrato, per estrema sicurezza, aggiunge che gli accertamenti dei periti devono ancora dare una risposta definitiva al quesito e valutare se la bomba possa, magari, essere scoppiata al momento dell'urto in seguito al calore dell'incendio. Ma, subito dopo, ripete che la deflagra¬ zione è stata, quasi sicuramente, non effetto, ma causa dello scontro: «E' probabile che abbia messo in crisi il governo della nave determinando guasti meccanici o seminando il panico tra quanti dirigevano la manovra». Dottor De Franco, il tipo di esplosivo utilizzato rimanda a qualche altro attentato? In altre parole: nelle tracce analizzate dai laboratori dell'Enea, si può leggere una sorta di «firma»? «No, questa miscela è di tipo abbastanza comune. In ogni caso non è stato trovato l'innesco, l'elemento che, solitamente, può aiutare a distinguere un'eventuale matrice». E', comunque, quasi certo che si trattasse di una miccia a lenta combustione accesa quando il «Moby» ancora si trovava in porto. Accesa da chi? Il campo delle indagini sembra restringersi: «Potrebbe essere stato un marittimo». La carica che potenza aveva? «In base agli effetti prodotti dovevano essere non più di dieci chili di esplosivo». Tritolo e nitroglicerina, compressi nello stretto locale che ospitava le eliche di prua, hanno avuto una terrificante forza esplodente: il tetto in lamiera di questo ricetto, posto sopra i garage, è saltato in aria proiettando ad oltre cinque metri dal tetto un camion carico. E probabilmente l'onda d'urto ha raggiunto anche la plancia di comando. Ma nessuno ha sentito la deflagrazione: né l'equipaggio della petroliera Agip Abruzzo né, soprattutto, il mozzo Alessio Bertrand, unico sopravvissuto all'inferno. Il giudice: «Lo interrogherò nei prossimi giorni: lui lo scoppio dovrebbe averlo udito». Dottor De Franco, c'è chi, specie tra i famigliari delle vittime, avanza il sospetto che le tracce di esplosivo possano essere un tentativo di depistaggio. Si dice che qualcuno potrebbe averle «seminate» all'interno del relitto per forviare le indagini. «I periti sostengono che, per ricreare una situazione del genere, eventuali "inquinatori" avrebbero dovuto innescare un'esplosione. E questo non sarebbe stato possibile visto che la carcassa del "Moby" è continuamente sorvegliata», Eppure, quella notte d'aprile, è stata, probabilmente, fotografata minuto per minuto. Su Livorno stazionavano nove satelliti: sette tra italiani e francesi, uno della Nato e uno degli Usa. Secondo il Sismi, che ha risposto alla richiesta di documentazione della procura, le nostre apparecchiature e quelle transalpine erano inattive. E le altre due? Possibile che strumenti in grado di leggere la targa di un'auto non abbiano ripreso il cammino verso la morte del traghetto? De Franco si limita a dire che, sull'inchiesta, «non è stato posto né il segreto militare, né quello di Stato». E aggiunge che chiederà nuovamente, attraverso il governo, le fotografie satellitari. Renato Rizzo

Persone citate: Alessio Bertrand, Dottor De Franco, Luigi De Franco

Luoghi citati: Abruzzo, Livorno, Sardegna, Usa, Ustica