Il sindaco di Bologna adesso la verità

Il sindaco di Bologna: adesso la verità Dopo la sentenza della Cassazione che ha annullato il giudizio di secondo grado per la strage del 1980 Il sindaco di Bologna: adesso la verità Imbeni: «Giusto mantenere la lapide fascista» ■ BOLOGNA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Dopo 12 anni, ritorna la speranza di avere giustizia, di sapere la verità su quelle 85 morti, le più misteriose e inquietanti della Prima Repubblica, Il giorno dopo la sentenza della Corte di Cassazione, che ha annullato il responso assolutorio di secondo grado, è un giorno di festa per Bologna. Il processo sulla strage alla stazione si rifarà, già entro la fine dell 'anno se le motivazioni della Suprema Corte giungeranno entro l'estate. Esponenti della destra eversiva, generali dei servizi segreti «deviati» e l'ex maestro venerabile della P2, Lido Gelli, torneranno davanti ai giudici per un nuovo dibattimento che tenterà di rispondere alle solite domande: chi e perché ha messo quella bomba che il 2 agosto 1980 ha distrutto un'intera ala della stazione? Chi e perché ha tentato, in tutte le fasi della lunga inchiesta, di sviare le indagini, di depistare gli investigatori verso piste internazionali, costruite ad hoc dai servizi se- greti italiani? E' soddisfatto, anche se moderato, il commento del sindaco della città, Renzo Imbeni: «La decisione della Corte di Cassazione va accolta con rispetto e soddisfazione. Non è stata messa una pietra sopra il più tragico capitolo della storia delle stragi terroristiche». Imbeni si è sempre opposto alla richiesta del msi (appoggiata anche da Andreotti e Cossiga) per togliere la scritta «vittime .del terrorismo fascista» dalla lapide che nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione ricorda la strage. E ora dice: «Abbiamo avuto ragione ad insistere, a non rassegnarci quando molti, con il passare del tempo, pensavano che fosse meglio lasciar perdere». Quell'aggettivo, dunque, rimarrà. Ed è una prima vittoria per i familiari delle vittime, i) cui presidente Torquato Secci ha più volte polemizzato con il Capo dello Stato, chiedendogli «tutta la verità». Sotto le macerie della stazione, Secci ha perso il figlio Sergio. L'arrivo della sentenza della Suprema Corte è accolta con grande commozione, ma non impedisce una nuova nota polemica verso Cossiga: «La Cassazione ha riconosciuto che quegli 85 morti non sono fantasmi, ma vittime che hanno diritto a giustizia e verità». Nelle aule del Palazzo di Giustizia di Bologna, teatro di roventi polemiche sulla conduzione delle indagini che nel 1982 portarono all'azzeramento dei vertici giudiziari, ora c'è un clima disteso e sereno. Libero Mancuso, p.m. del primo processo (concluso con quattro ergastoli per i neri Fioravanti, Mambro, Facchini e Picciafuoco e con le condanne per depistaggio di Gelli, Pazienza, Musumeci e Belmonte) è il primo a rilasciare un commento: «La sentenza, seppure tardivamente, ripaga un lavoro difficile e pieno di ostacoli che per anni è stato condotto dalla magistratura bolognese, contro la quale si sono rivolte aggressioni e deviazioni di ogni genere». Soddisfatto è anche Franco Quadrini, p.g. del processo d'appello (aveva chiesto la conferma degli ergastoli e la condanna a vita anche per l'ideologo nero Paolo Signorelli), che ieri ha ricevuto l'investitura anche per il nuovo dibattimento: «Il messaggio mandato dalla Corte di Cassazione è che non si può chiudere questo processo lasciandosi andare alla logica del silenzio». Per il procuratore generale di Bologna, Mario Forte, «Quadrini comincia una nuova fatica, ma si prepara a nuove soddisfazioni». «Credevamo in quello che abbiamo fatto aggiunge Forte - nulla vieta che la nuova sentenza possa ricalcare la strada già percorsa. La Cassazione non ha messo limiti al riesame degli atti». E' il grande sconfitto, ma si dice sereno, Pellegrino Iannaccone, presidente della Corte di assise d'appello di secondo grado che nel luglio di due anni fa ha assolto i principali imputati, contestando l'impianto accusatorio di Mancuso. «Forse sono l'unico che questa notte ha dormito», afferma. «La Cassazione - fa poi rilevare - non ha detto né condannateli né assolveteli. Noi abbiamo giudicato sugli elementi che il tempo d ha dato; nulla esdude che nelle successive fasi emergano altri elementi». Marisa Ortolani Stazione di Bologna, 2 agosto 1980 La bomba è appena esplosa

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