Un hotel sulla via di Auschwitz di Enrico Deaglio

Un hotel sulla via di Auschwitz Oggi un convegno riporta alla luce una pagina segreta della storia di Forlì Un hotel sulla via di Auschwitz Quattrocento lire per gli ebrei in ostaggio FORLÌ' 1 N un falcione di un incarI lamento riservato della I Prefettura, conservato -Mi presso l'Archivio di Stato della città, c'è un foglio che dice: «Questura di Forlì, Divisione Gabinetto. 28 gennaio 1944. Alla Prefettura, Ufficio Ragioneria. Oggetto: Ebrei - campo di concentramento - Liquidazione fattura. Per la liquidazione, si trasmette l'unita fattura di lire 400 della Cooperativa Lavoranti Falegnami di Fori), riflettente la costruzione di un divisorio in legno nel corridoio dell'albergo Commercio sito in corso Diaz di questa città, adibito a campo di concentramento degli ebrei di questa Provincia. Firmato, il Questore». Sullo stesso foglio, in basso, la risposta vergata a mano: «Si restituisce l'unita fattura avvertendo che questo ufficio non ha fondi per il pagamento della medesima». Oggi l'albergo Commercio di corso Diaz non'esiste più, ma alcuni ricordano che aveva sede sopra l'attuale farmacia. Non esistono più la Cooperativa Lavoranti Falegnami, né i suoi libri contabili, per cui non è dato sapere se riuscirò- \ no a farsi pagare le 400 lire, Non si sa a ebe cosa servisse quel divisorio in legno nel corridoio: se a dividere pensionati da concentrati o maschi da femmine. Se era alto fino al soffitto o se permetteva la vista da un lato all'altro del corridoio. Se era una struttura mobile o fìssa. Se all'altra parte del divisorio - quella che si immagina della vita nor- '■ male - giungevano richieste, lamenti, proposte di fuga. Non si sa neppure quanti ebrei vi furono concentrati. Si ha notizia solamente di due sorelle, Diana e Dina Jacchia, di 64 e 61 anni, arrestate a Cesena da agenti del Commissariato di Pubblica Sicurezza il 17 dicembre 1943 e portate all'albergo Commercio. Il 23 gennaio' 1944 furono trasportate a Ravenna e di qui al carcere di San Vittore a Milano. Il 30 gennaio fecero parte del «convoglio n. 6» che trasportò 605 ebrei ad Auschwitz. Qui le sorelle Jacchia vennero uccise all'arrivo, il 6 febbraio 1944. Di tutto il convoglio tornarono in 20. La loro deportazione avvenne quindi negli stessi giorni in cui, tra Questura e Prefettura di Forlì, si discuteva chi dovesse «liquidare» alla Cooperativa quelle 400 lire «riflettenti» la costruzione del divisorio in legno. Quattrocento lire che non erano poi molto, 350 mila lire attuali: l'inflazione da quattro anni si era mangiato tutto. Quel foglio intestato della Questura - così burocratico, così sfacciato - è emerso due anni fa, quando a una giovane ricercatrice di Forlì, Paola Saiani, venne richiesto di cercare eventuali notizie di un ebreo di Trento, per il quale c'era il sospetto di una fucilazione a Forlì. Non ne trovò traccia, trovò invece, dimenticate, rimosse, le notizie del campo di concentramento nel centro della città e di due eccidi sconosciuti. Il primo avvenne il 5 settembre del 1944; nella zona dell'aeroporto vennero uccise 30 persone, 26 delle quali identificate, 10 delle quali ebree. Dodici giorni dopo, vennero uccise altre 7 donne ebree, mogli, madri e sorelle delle precedenti vittime. A sparare furono delle SS tedesche, mentre un cordone di membri della Guardia Nazionale Repubblicana faceva vigilanza. Uomini e donne furono uccisi sull'orlo di buche prodotte dai bombardamenti e poi spinte nei crateri. Un eccidio terribile, ma di cui la Forlì di oggi non ha memoria. Benché in tutta la zona siano sempre stati coltivati i ricordi della resistenza al nazifascismo, di quelle persone non esiste quasi traccia. Una lapide, murata nel 1955, ricorda alcuni nomi, ma storpiati. Al cimitero comunale ci sono i loculi di 8 caduti, ma molto in alto, vicino al soffitto, quasi invisibili. Oggi a Forlì si parlerà di quanto successe. Ha preso l'iniziativa un gruppo di giovani che pubblica il mensile Una città; hanno invitato studiosi delle leggi antisemite e della deportazione, tra i quali Fabio Levi, Liliana Picciotto Fargion, Gregorio Carovita, esponenti delle comunità ebraiche della Romagna e gli storici Paola Di Cori e Gianni Sofri. L'hanno chiamata «Giornata di ricordo, di riparazione, di riflessione». Chiederanno che le lapidi oggi esistenti siano corrette e che si sollevi il velo su un cupo segreto della città. Sperano che ciò avvenga, anche se finora non hanno trovato a Forlì un particolare entusiasmo a riandare a quagli anni. Ma chi erano i morti? Diciotto erano ebrei stranieri: polacchi, austriaci, tedeschi, ungheresi, romeni che la fuga dal nazismo aveva portato agli itinerari più diversi. C'erano, per esempio, i coniugi polacchi Israel Amsterdam e Lea Rosembaum. I due, nel 1940, si erano imbarcati a Trieste per raggiungere, via Siracusa, Bengasi. Dalla Libia speravano di raggiungere la Palestina, aggirando il blocco navale inglese. Arrivarono a Bengasi, ma a guerra ormai iniziata. Vennero arrestati, insieme con altri 300, e portati nel campo di concentramento italiano per ebrei stranieri di Ferramonti, in provincia di Cosenza. Ebbero la sfortuna di essere trasferiti al Nord, perché quelli che rimasero in Calabria furono liberati dalle truppe alleate nel settembre '43. Dei coniugi Amsterdam si sa solo che si nascosero a Pesaro, poi a Forlì dove vennero arrestati. Ci sono altri Amsterdam e Rosembaum nella Usta degli uccisi all'aeroporto. Arrestati nella provincia, tutti portati a Forlì. Ci sono dei Bruner di Vienna, Lewin di Berlino, Loewsztein di Varsavia, di cui si ignorano le peripezie, i percorsi, le speranze che li ave¬ io ria. le vano portati fino in Romagna. Ma ci sono anche dei nomi noti, i marchesi Paulucci de Calcoli, fucilati perché accusati di collaborare con i partigiani. Erano discendenti di una grande famiglia della Romagna, citati da Dante («Questi è Rinier; questi è '1 pregio e l'onor della casa de Calboli.,.», Purgatorio, canto XIV). Un Fulcieri de Calboli, eroe della grande guerra, ha a Forlì un liceo intitolato a suo nome. Dei due uccisi invece non si sa praticamente nulla. Solo un rapporto della Prefettura del 1945 dice che la marchesa «era versata nelle lettere e nella critica d'arte». Ci sono poi, nell'elenco dei morti, altri cittadini forlivesi e un Gaddo Morpurgo, ragioniere di Trieste, di cui solo ora il nipote ha conosciuto la fine. Una delle poche che vide e ricorda è suor Pierina Salvetti, ultraottantenne, che per quarantanni prestò servizio come assistente carceraria a Forlì. Ricorda che nel 1945 il Comando Alleato richiese la sua presenza per l'identificazione dei fucilati. Il vescovo la sconsigliò di andare («ne soffrirà per tutta la vita»), ma suor Pierina andò perché aveva promesso alle donne prigioniere che non le avrebbe abbandonate. Si ricordava di tutte loro e della marchesa de Calboli che salì per ultima sulla camionetta con le mani legate dietro la schiena. A tutte era stato detto che sarebbero state portate in Germania. «Le preparammo a partire dando loro cibo e gran quantità di mele. Avevano le mani legate, ma i tedeschi lasciarono che si portassero via i loro fagotti. Una nel sabre inciampò e un pacchetto si ruppe, lasciando correre via le mele, io mi precipitai a raccoglierle e i tedeschi mi lasciarono fare, anzi lasciaro¬ no che le riconsegnassi. Quando la camionetta inglese ci portò a vedere i cadaveri, tutti coi fori dei proiettili alle gambe e alla testa, non tardammo a riconoscere le infelici». Massimo Tesei, promotore dell'iniziativa di oggi, non nasconde le difficoltà che il suo giornale ha incontrato nel rendere noto questo segreto di Forlì. «Per esempio, in seguito alle leggi razziali furono sequestrati tutti i beni delle famiglie ebree della provincia. Vennero fatti elenchi dettagliati di cassette di sicurezza, soldi, gioielli, persino posateria e indumenti. Ma oggi non si trova più niente. Incartamenti vuoti, archivi mangiati dai topi. Tutto perduto. Il convegno di oggi è la prima occasione perché la città possa sapere di quelle vittime, e almeno lasciare un segno del loro passaggio». Enrico Deaglio L'albergo Commercio e la sua lugubre storia. Arresto, calvario e morte di due sorelle Eccidi e deportazioni dimenticati, donne fucilate all'aeroporto. Un treno portò via 605persone e ne tornarono appena venti riconMdell'