L'inferno arde a New York di Furio Colombo

L'inferno arde a New York Nel libro di Furio Colombo L'inferno arde a New York Adifferenza del malato inconsapevole e condannato nella memorabile narrazione di Dino Buzzati, — la fortuna e la carriera, dunque la pienezza della vita, sono scandite a New York da un costante movimento verso l'alto. E' il canone della «città verticale» che Furio Colómbo presenta nel primo capitolo di La città profonda (Feltrinelli), una delle esplorazioni più sottili e coinvolgenti che mi sìa capitato di leggere a proposito di questa metropoli assoluta e insieme misteriosa. Verticale è la città delle torri sempre più alte, dove le grandi corporazioni erigono i loro edifìci totemici, e la «consacrazione dell'autorità» viene sanzionata dall'ufficio in alto: più finestre, più vista, più prestigio. La gente che conta, poi, vorrà a sua volta abitare in una torre che a suo modo rassomigli all'ufficio! il luogo del benessere, la realizzazione di un sogno. Ma alla New York verticale fa riscontro quella orizzontale, tra l'altro la più antica, quella in cui si immergeva, per scomparire quasi nel nulla, il Wakefìeld di Nathaniel Hawthorne, uno dei grandi archetipi della lei tenitura americana. In un ahru racconto di Hawthorne, Adamo e Eva, ricomparsi sulla Terra dopo una catastrofe imprecisata che ha spazzato via gli esseri viventi, cercando invano tra i grandi palazzi e le chiese finiscono in una banca, scambiandola per un tempio. I vapori di Wall Street Acutamente, Colombo si inoltra nella città orizzontale da Wall Street, cittadella della finanza, e lo fa di notte, quando è «perfettamente deserta», poiché di notte «si sente il senso religioso del tempio della Borsa... Le banche sono chiese». (Consiglierei anche la domenica. Ci portai un anglista e saggista italiano famoso, e additandomi i vapori biancastro-sporchi che si sprigionano attraverso le grate del sottosuolo osservò che provenivano da fuochi infernali, quasi a sfidare l'opulenza religiosa dei palazzi). La città orizzontale si spinge ben oltre, comprende la desolazione della Bowery, la miseria di chi dorme sui marciapiedi e il lusso esclusivo, spesso ambiguo, dei «social club»; i vecchi alberghi municipali dove viene ospitata occasionalmente la gente senza casa; le palestre, le «terapie di manutenzione e di sostegno» del corpo, supremo punto di riferimento; la linea di frontiera della Cinquantesima Strada e oltre della Novantesima, quando impercettibilmente si entra a Harlem. E oltre la Centesima, il «punto di raccolta tra sopra e sotto... una piazza di angoscia e di festa», spesso riverberata dai bagliori degli incendi. Ed ecco un altro singolare paradosso della metropoli. E' ormai strettamente territoriale, con una divisione etnica dei quartieri che ricorda in qualche modo gli assetti delle grandi specie animali. Guai violarne i confini. Ma la città si muove perennemente, la massa non sta mai ferma. Diretta al lavoro? Forse sì, forse no, e il «fiume umano» si sposta intersecandosi, mescolandosi, spezzando il senso del tempo e il senso dello spazio, in un moto che accomuna New York ad altre città ormai incontrollabili e fluide, completamente diverse eppure speculari: penso a Lagos. Se New York non termina sciogliendosi nella campagna, ma invece si apre su altro cemento, su altri agglomerati, ha le sue porte, concrete e metafori¬ che, simboliche. Sono gli aeroporti, le stazioni ferroviarie, i tunnel dentro i quali si aprono buchi oscuri e forse abbandonati, le tangenziali. Si entra per visitarla, per affari, perché si ritorna da un viaggio, ma anche per trovarvi lavoro, o semplicemente per viverci chissà come. Preme l'ondata incessante dei clandestini di ogni provenienza, ma in genere dai Paesi del sottosviluppo, che rischiano di venire respinti ma sanno di dover tentare di farcela, con espedienti svariati, spesso inspiegabili. Uno dei momenti più intensi e mossi del libro di Colombo si incentra nel palazzo dell'Immigration Naturalization Service, dove affluiscono, uscendo letteralmente dai nascondigli, i clandestini che dopo anni vogliono essere accettati, ottenere documenti regolari, alle prese con una burocrazia insolitamente - per gli Stati Uniti - macchinosa e quasi vendicativa: un teatro dell'assurdo, vincendo o perdendo, aspettando, confessandosi, sollecitando, frammenti estremi del sogno americano, della sua epifania o della sua sconsacrazione. Vorrei estrapolare i due episodi cruciali con cui il libro si chiude. Uno riguarda la troupe televisiva che irrompe nella povera casa, al Bronx, di una famiglia di immigrati, i Consalvo, dovè un proiettile ha attraversato una parete di legno e ucciso una bambina. Le circostanze contano poco, serve la ripresa, la più stringata e «vera» possibile. Il «reporter» usa padre e madre in funzione del servizio, li manovra, dirige lampade e telecamere, illustra l'episodio. «Fantastic», dice, e dopo un «okay» finale, il suo saluto, la troupe se ne va. L'altro episodio, quello finale, ci conduce alla nuova, lussuosa Metropolitan Tower, dove un concierge «alto e bello» in uniforme, un'accompagnatrice anche lei in uniforme, un cuoco, uno chef, sfilano davanti al visitatore e possibile acquirente di un appartamento. Sono tutti attori disoccupati, assunti per «dare un'immagine». Quando gli appartamenti saranno venduti, arriverà il personale vero, e lo spettacolo sarà finito. Come un film di Scorsese Sociologi, psicologi, opinionisti di varia matrice, accademici e inviati, da decenni scrutano New York e ce la spiegano. Fatica sprecata. Non c'è nulla da spiegare, ma da vedere. Colombo non spiega, come Tullio Pericoli nei disegni che con rara pregnanza, tra realtà e visione quasi talismatica, illustrano il libro: vede. Il suo occhio osserva e insieme sostanzia la scrittura. «Saggi immaginari», dice il sottotitolo. Il libro è costruito sulle immagini, con una messa a fuoco che non si arresta mai, con lo sguardo che opera una scelta, provoca una successione non premeditata, agisce come una sonda, e inventa un discorso. Così la realtà più immediata, l'episodio più violento, l'apertura alla speranza e alla pietà umana, il germinare dei graffiti, il mondo del carcere, il «sogno» e la «spazzatura», si ricompongono nel segno quasi magico dell'immaginario e della visione. Questa New York è tanto più reale in quanto visionaria, tanto più autentica in quanto vista e immaginata, vissuta e distanziata per non farsene travolgere. Dopo La atta profonda, possiamo tranquillamente sbarazzarci di un'intera biblioteca sull'argomento, come faremmo dopo un film di Scorsese. Claudio Goriier

Persone citate: Bowery, Dino Buzzati, Furio Colómbo, Hawthorne, Nathaniel Hawthorne, Scorsese, Tower, Tullio Pericoli

Luoghi citati: Lagos, New York, Stati Uniti