«Il dubbio mi tormenta ancora Io non credo alla disgrazia» di Giuliano Marchesini

Ma il fratello prete insiste Ma il fratello prete insiste «Il dubbio mi tormenta ancora Io non credo alla disgrazia» ROVIGO DAL NOSTRO INVIATO Don Mario Bisaglia guarda fuori dalla finestra, gli alberi rinsecchiti del giardino della casa del clero. Si strofina nervoso le mani sulla tonaca e ribadisce: «Insomma, io non credo che Toni sia morto per una disgrazia. Allora, qualcuno, lo ha ucciso». «Ma perché, secondo lei?». «Mah, forse troppa invidia. Lui era fortissimo a Roma, a quel tempo». La morte di Antonio Bisaglia, leader doroteo, finito in mare il 24 giugno dell'84 dallo, yacht «Rosalù», nella rada di Portofino: per un «colpo di mare», la spiegazione ufficiale. L'indagine conclusa in breve e i funerali solenni nella capitale. A distanza di quasi otto anni il fratello, don Mario, riapre il caso caricandolo di un sospetto di omicidio. Settantaquattro anni, una vita divisa tra le visite agli ammalati al Policlinico di Rovigo, come cappellano, e la solitudine della casa del clero, quasi nascosta in un angolo della città. Don Mario parla del dramma di suo fratello mescolando i ricordi, l'incredulità e quell'idea tormentosa, che Toni sia rimasto vittima di chissà quale complotto. Una penosa ricerca personale, a tratti confusa, della «verità». «La cercai anche subito dopo la morte di mio fratello, ma nessuno mi ascoltò». Ne ha viste parecchie, don Mario. Dopo essere stato parroco a Flesso Umbertiano, andò in Palestina per tre anni, «a fare il prete operaio». Di suo fratello ricòrda tutto, a volte con tenerezza, a volte con rammarico per non essergli stato più vicino nei «momenti diffìcili». «Per pochi mesi abbiamo abitato insieme, poi ci siamo divisi e più avanti siamo tornati a stare insieme. Ma infine sono andato a vivere, per conto mio». Don Mario si mette una mano sul petto. «Io e Toni eravamo molto legati. E quando lui aveva qualche grosso problema, anche politico, veniva a chiedere consiglio a me. Mi ricordo che una volta mi si presentò un deputato del Veneto, che mi disse: dì a tuo fratello di non accettare la candidatura per le elezioni. Io corsi da Toni a riferire. E sa cosa mi rispose lui? Che quello era un motivo di più per accettare. Toni era fatto così». Adesso don Mario si commuove. Ricorda il giorno in cui unì in matrimonio suo fratello e Romilda Bollati di Saint-Pierre, vedova Turati. «Il 22 dicembre dell'82, nella chiesa della Madonna dell'Orto, a Venezia. Eravamo in cinque in tutto. Poi, a cena nel ristorante, eravamo una decina, compreso Carlo Bernini, che ora fa il ministro. A me Toni pareva entusiasta, di quella donna. Ma dopo il matrimonio non ho saputo più niente di lei. Toni sì, l'ho incontrato spesso. Lui veniva in villeggiatura con me a Solda. Era innamorato, della montagna. Del mare no. Mi ripeteva: io marinaio proprio non sono. Non sapeva nemmeno nuotare». L'ultima volta, lo vide una quindicina di giorni prima della tragedia. «Venne a Rovigo per un comizio, ci vedemmo soltanto per qualche minuto». La sera del 24 giugno dell'84, la notizia della morte. «Io ero a Lourdes. Mi chiamarono e mi dissero che era annegato. Arrivai a Roma la sera dopo e andai subito alla sede della de, dov'era esposta la salma di Toni. Poi a casa della signora Romilda. Lei mi ricevette per dieci minuti, non di più. Toni le aveva fatto una casa d'oro, che aveva intestato a lei. Era addobbata principescamente, con uno scalone che pareva di andare in Vaticano». Don Mario dice che Romilda Bollati di Saint-Pierre «si mostrò freddissima». «Da quel momento, i rapporti tra me e lei si ruppero. Viaggiammo insieme in aereo, per venire ai funerali, a Rovigo. Durante il viaggio le domandai ripetutamente che cosa fosse successo. Lei mi rispondeva che era annegato. Da quel giorno non s'è fatta più vedere né sentire. Come se fosse sparita. Le ho mandato due espressi: non mi ha neanche risposto». Va davanti alla finestra, don Mario, resta un momento assorto. Poi si volta. Le guance arrossate, dice: «Sentite, non hanno fatto nemmeno l'autopsia, sul corpo di mio fratello. E dopo tre ore la salma di Toni era a Roma: l'aveva fatta trasportare il presidente Pertini. E Cossiga, che allora era presidente del Senato, era rientrato dalla Sardegna. Era stato proprio Cossiga a dire al medico di dare il nullaosta perché si chiudesse la bara e la si trasportasse a Roma». Quando il feretro giunse nella capitale, racconta don Mario, «era già coperto dal tricolore». «Uno che era presente a Santa Margherita Ligure mi disse: avesse visto com'era ridotto suo fratello». Su quella morte don Mario ha raccontato di aver recentemente raccolto una «novità». Di più, per ora, non dice. Don Mario leva gli occhi al cielo: «Sapeste che lunga sofferenza. Dopo che ho parlato, nei giorni scorai, sono stato persino minacciato». E adesso, che farà? Intende chiedere la riapertura dell'inchiesta sulla morte del fratello? «Se non la chiede mio nipote, che è avvocato, io no. Non voglio andare in cerca di altre disgrazie». Giuliano Marchesini

Persone citate: Antonio Bisaglia, Carlo Bernini, Cossiga, Mario Bisaglia, Pertini, Romilda Bollati, Solda, Turati