Dalla bomba assassina al processo di Vincenzo Tessandori
Dalla bomba assassina al processo Dalla bomba assassina al processo Gli 85 morti è i 200feriti aspettano giustizia BOLOGNA. La data e l'ora, nessuno le iSmienticheràf'fe' 10,25 del 2 agosto 1980, più di undici anni or sono, più di alcune ère politiche. Un giorno di caldo afoso, la stazione di Bologna è affollata di gente allegra che parte per le vacanze, magari frastornata dal caos, forse stanca ma felice. Una bomba assassina nella sala di attesa della seconda classe ammazza 85 persone e ne ferisce duecento. Dopo l'attentato all'Italicus, avvenuto il 4 agosto del 1974, che provocò 12 morti e 44 feriti, Bologna viene ancora investita dall'apocalisse. Si pensò, si volle pensare in quel mattino di ferocia, che fosse «semplicemente» accaduto un incidente, lo scoppio di una una bombola di gas o di ossigeno. Pareva mostruoso pensare a un'opera dell'uomo. Ma era una maledetta bomba e gli assassini avevano voluto «colpire nel mucchio», senza un obiettivo preciso. «Nella strage indiscriminata il terrorismo si manifesta nella sua forma più brutale, e apparentemente insensata», avverte Norberto Bobbio. Ma. che- strage fu? Fascista? Nichilista? O, se possibile, cosa ancora più terribile, una strage dell'«antistato»? Dei servizi deviati? Delle Logge impazzite? Il sospetto, atroce, prese corpo nel corso delle indagini, quando si scoprì che due ufficiali dei servizi segreti avevano fatto l'impossibile per «orientare» le ricerche, regalando indizi, suggerendo notizie e indicando conclusioni agli inquirenti. I nomi dei due mascalzoni processati e condannati sono: generale Pietro Musumeci e colonnello Giuseppe Belmonte. «L'accertamento della verità, opera di per sé sempre difficoltosa, è stato in questo processo ostacolato in ogni modo, poiché le menzogne, gli inquinamenti e le congiure di ogni genere hanno raggiuntò un livello talmente elevato da costituire una costante», si legge nella parte II, capitolo VI della sentenza-ordinanza. Le indagini si orientarono verso la destra estrema, si frugò negli ambienti dei neo-fascisti e venne individuato un gruppo che faceva capo a Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, un che sembrava vedere neì'lMtttf facile, nell'attentato, in quella che anche loro chiamavano la lotta armata, lo strumento ideale per una nuova rivoluzione fascista. Trovare gli assassini, trovarli ad ogni costo: le indagini procedettero fra le sabbie mobili. Se fra i terroristi, soprattutto quelli della sinistra più estrema si trovavano personaggi disposti a collaborare con la giustizia, insomma coloro che vennero impropriamente chiamati «pentiti», fra i sospettati del delitto di strage nessuno si pentì, nessuno collaborò. «Parlano, rispondono agli interrogatori, ma quando si tocca il tasto delle stragi, tacciono», disse un giorno Guido Marino, procuratore della Repubblica a Bologna. «Non sanno niente, oppure non vogliono dire niente, insomma, aiuto non ne danno». L'attentato, si disse, non era altro che un nuovo atroce capitolo nella strategia della tensione. Quando frugarono fra i brandelli d'indizio che erano riusciti a individuare, gli inquirenti si trovarono a faccia, a faccia, con eversione nera,''mafia,' servizi segreti deviati, anche l'ombra della loggia Propaganda Due o P2. La banda, o il manipolo, trascinato davanti alla corte d'assise di Bologna, si difese con accanimento. Fu un processo indiziario, come tutti i processi per strage. Ci fu anche un avvocato di parte civile, Roberto Montorzi, ex-capitano dei carabinieri, che si tirò indietro perché, disse in sostanza, l'accusa aveva seguito una via prestabilita: contro i fascisti. E nel corso delle indagini affiorò anche un'altra ipotesi: gli assassini non sarebbero stati italiani, ma venivano dalla Libia. Neppure questo fu provato. Quattro condanne in primo grado, assoluzione collettiva in appello. E gli ottantacinque aspettano ancora. Ricordando una bimba morta, Gian Pietro Testa scrisse nell'Antologia per una strage'. «Ho compiuto ieri gli anni / ed erano belli i miei regali, / un giorno felice, la morte era tanto lontana». Vincenzo Tessandori
Persone citate: Francesca Mambro, Gian Pietro Testa, Giuseppe Belmonte, Guido Marino, Norberto Bobbio, Pietro Musumeci, Roberto Montorzi, Valerio Fioravanti
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