Sul ring della preferenza unica

Sul ring della preferenza unica LE NUOVE SFIDE DELLO SCONTRO ELETTORALE Sul ring della preferenza unica Guerra nel psi e tra gli amici di De Mita CROMA LELIO Darida? Estinto. Rodolfo Carelli? Estinto. Lorenzo Ciocci? Estinto. Bartolo Ciccardini? Più estinto che salvo. Francesco D'Onofrio? Più salvo che estinto». Quella che Vittorio Sbardella, padrone della de romana, elencava qualche giorno fa nel Transatlantico di Montecitorio non era la lista dei sopravvissuti o delle vittime di un naufragio, ma la sua previsione sulle fortune elettorali dei candidati de a Roma nelle prossime elezioni politiche. E sempre in quell'occasione Sbardella assicurava che i suoi pronostici potevano essere presi per buoni, «visto che con il nuovo sistema è facile fare i conti». Il «nuovo sistema» è quello della preferenza unica, che, paradossalmente, se per un certo verso non offre più la possibilità ai grandi leader, ai capicorrente o ai signori delle tessere di mettere su cordate di candidati fidati a cui assicurare l'elezione, dall'altra rende più semplici le previsioni sugli eletti potenziali di ciascun partito. Infatti, chi conosce a memoria i «bacini elettorali» su cui possono contare i nomi in lizza ha poche difficoltà a fare una lista ragionevole su chi riuscirà a farcela e chi no, visto che il nuovo sistema non permette più, se non al costo di grossi rischi, le alleanze tra candidati. Questo, naturalmente, ha rivoluzionato il loro comportamento. Non si sta più attenti alle promesse o agli appoggi di questo o quell'altro gran nome della politica, ma ci si dedica ad una lotta fratricida nel partito, nella corrente o, peggio, all'interno di quella che si è considerata da sempre la propria «famiglia politica». Se queste sono le nuove «regole di sopravvivenza» non debbono meravigliare i discorsi che una persona prudente e discreta, come il deputato perugino Luciano Radi, ha fatto ieri alla Camera su Franco Ciliberti, altro deputato de uscente, anche lui in gara per tornare a Montecitorio proprio nella circoscrizione umbra. «Io se fossi in lui starei attentò - è stato il consiglio di Radi all'amico di partito - perché per essere eletto ci ha dovuto provare tre volte e questa volta per lui sarà molto più difficile: Ciliberti, infatti, l'altra volta è stato eletto perché aveva l'appoggio dell'arcivescovo, che è morto; perché poteva contare sul direttore della Cassa di Risparmio, e anche quest'altro non è più tra noi; ed infine nelle altre elezioni ha avuto l'aiuto di quello che era il provveditore agli studi e adesso è solo sovrintendente». Ma se lo scontro tra Radi a Ciliberti non sconvolge tanto visto che può essere spiegato, bene o male, cone uno scontro fra correnti de (il primo è forlaniano, il secondo è della sinistra), è sicuramente più eclatante la lotta che si è scatenata tra i componenti della famiglia politica demitiana nell'Avellinese. Quasi si stenta a crederlo, ma la preferenza unica ha messo contro Ciriaco De Mita e i due suoi uomini più fedeli, Giuseppe Gargara e Clemente Mastella. La storia è semplice: Ciriaco De Mita aveva chiesto ai suoi due ex-pupilli di appoggiare in queste elezioni i candidati più deboli della corrente nell'Avellinese, Lusetti e Bonocore. Ma per paura di non essere eletti Gargani e Mastella non sono stati al gioco. E il presidente della de se l'è presa non poco. Qualche giorno fa Ciriaco De Mita in una Camera semi-deserta si è sfogato in questo modo: «Li ho proprio persi, ormai con loro non si ragiona più. Io non capisco perché debbo aiutare da solo Lusetti e l'altro. Certo lo farò, ma non è giusto. Ad esempio chi era Mastella? Un bravo ragazzo di Benevento, certo intelligente, ma che si è fatto venendomi dietro, grazie al mio aiuto. Adesso non capisco perché anche loro non si comportano alla stessa maniera con i più defao - li». Ma queste elezioni non hanno messo a dura prova solo la pace interna della famiglia demitiana. Pur se attutita dalle mura ovattate del psi milanese, c'è stata guerra anche nella famiglia craxiana. Qui il problema è sorto sulla scelta di chi far concorrere al Senato, tra i diversi esponenti del psi che hanno guidato negli ultimi dieci anni la giunta milanese. Per settimane c'è stato un gioco a rimpiattino tra gli ex-sin- daci socialisti Aldo Aniasi, Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri, cognato di Bettino Craxi: ognuno ha tentato di mandare al Senato l'altro. Sembra che alla fine - ma l'ultima parola non è detta - abbia avuto la peggio proprio Pillitteri, che tuttavia in un'intervista, fino a pochi giorni fa, assicurava: andrò alla Camera come tutti gli ex sindaci di Milano. Più saggiamente Antonio Gava, per evitare guai nella sua famiglia politica ha preferito risol¬ vere .la questione per tempo: lui ha scelto il Senato, mentre al suo secondo, Vincenzo Scotti, ha' lasciato la Camera. E a chi gli chiede se considera Palazzo Mada una «diminutio», risponde: «Chi dice queste cose non ha capito nulla, e dimentica che Cossiga dal Senato è diventato presidente della Repubblica e Bisaglia ha continuato a fare il leader della de». Augusto Minzolini Contro il presidente de sono schierati gli uomini più fedeli, Gargani e Mastella Nel garofano, contrasti fra Aniasi Tognoli e Pillitteri Ciriaco De Mita «Ma chi era Mastella? Un bravo ragazzo di Benevento. Se è diventato qualcuno lo deve i • solo a me» Giuseppe Gargani (a sinistra) e Clemente Mastella Non hanno obbedito a De Mita che chiedeva il loro appoggio per Lusetti e Bonocore

Luoghi citati: Benevento, Milano, Roma