TORNA IN CAMPO VIOLA di Oreste Del Buono

TORNA IN CAMPO VIOLA TORNA IN CAMPO VIOLA Telecronista e poeta del calcio, paroliere dijannacci Nei suoi racconti una lezione di grazia e ironia UANDO vengono al M A mondo i bambini ricM B chi parlano già quat- i 1 H tro lingue, sono abI bronzati e hanno le I mèche. I bambini poH veri fanno una fatica ■ H mai vista a farsi capi re almeno fino all'età ^j^^ di sei anni quando incontrano una maestra appena arrivata da Benevento che insegna loro l'amore per il prossimo. Rinuncio volentieri al vittimismo e ammetto pubblicamente che avrei potuto essere coi primi se mio padre non si fosse ballato ogni mese la paga di aviatore in un posto chiamato San Siro. In questo posto corrono i cavalli, alcuni vincono, quelli su cui scommetteva mio padre, quasi mai...». A dieci anni dalla morte, Beppe Viola, il telecronista che umanizzava il calcio, la vita, prendendoli affettuosamente in giro, torna in un libro della Neo-Baldini & Castoldi, nella collana che è diretta da Gino & Michele e che, tanto per non sbagliare, si chiama «Le Formiche» (pp. 170, L. 16.000). Torna in un libro, ma, noi amici, non ci aveva mai veramente abbandonati, dato che dove c'è la televisione c'è cuore. «Quando vengono al mondo i bambini ricchi parlano già quattro lingue, sono abbronzati e hanno le mèche», lo ripete in vecchi numeri di repertorio televisivo riciclati insieme con saltuarie riprese magari un poco svogliate Renato Pozzetto. Quelli che... il titolo del libro di cui si parla è una canzone che ogni tanto Enzo Jannacci ci fa sentire nelle sue nevrotiche esibizioni riecheggiate sul piccolo schermo: «Quelli che l'ha detto il Telegiornale, quelli che qui è tutto un casino, quelli che c'erano, quelli che lo statu quo, quelli che la misura in cui, quelli che hanno una missione dà compiere...». A volte, può persino parere di rintracciare un poco Beppe Viola negli occhi socchiusi sempre più chiudentisi di Massimo Soldi quando borbotta nelle sue farse televisive, in bilico tra assenza e presenza, tra sonno e sogno. «A scuola non mi feci vedere per un bel pezzo, diciamo per l'intero anno» ricordava Beppe Viola. «Ebbi il coraggio di meravigliarmi, anzi scandalizzarmi, quando leggendo il risultato scoprii di essere stato respinto. Ma come? Se non mi conoscono neanche? Avrebbero dovuto scrivere: disperso.-..». L'avevo conosciuto allo stadio di San Siro, l'avevo rivisto all'ippodromo di San Siro, e al Capolinea l'avevo soprattutto ascoltato. Dopo Giancarlo Fusco era il più grande narratore di storie davanti a un whisky o anche a un semplice bianchino. Le sue storie erano eccezionali, ma mi suonavano familiari. Un giorno mi accorsi che parlava come un autentico personaggio di Damon Runyon. Viveva allo stesso modo il suo mestiere di giornalista sportivo e la sua vocazione a cacciarsi nei guai a causa dell'ironia. La richiesta di scriver dei racconti per Linus gliela feci al Capolinea, indiscusso tempio del jazz milanese. Ero imbarazzato come sempre quando si chiede la mano a qualcuno, e anche perché al nostro tavolo si erano seduti Giorgio Vanni e Ninone Del Tonno di ritorno dalla Spagna. Ninone Del Tonno aveva consegnato a Giorgio Vanni una colomba pasquale, dicendo che la voleva mangiare, ma che bisognava tagliarle la testa perché lui con la testa non ne mangiava. Beppe Viola mi fece un discorso da grande professionista: «Una volta ~,un fanrioso giornalista sportivo ha riferito che Fausto Coppi ha scalato lo Stelvio, pedalando con una mano sola, anzi senza mani. Sto scrivendo il libro Cochi & Renato. Dal capitolo XI lo scrivo senza tonsille. All'editore Fabbri avevo chiesto Beppe Vio di pagarmi cinquantamila lire a pagina, perché mi facevano male le tonsille. Al capitolo X ho avuto abbastanza soldi per farmi operare. Ma senza tonsille, si può scrivere un libro?». Alla televisione si occupava soprattutto di calcio, e aveva scelto di trattar l'argomento appunto con un mimmo d'ironia (o almeno con quello che per lui era il minimo) che consisteva nello sdrammatizzare le passioni, nello smussare la veemenza dell'epica. Così aveva fatto presto ad accertare che l'ironia è la cosa meno accetta, dopo naturalmente la morte, al popolo ita- liano. I calciatori, i presidenti e gli arbitri s'inalberavano per un aggettivo e a fare impazzir d'ira i tifosi bastava anche una sola inflessione della voce. Al terzo piano della Rai ài numero 27 del corso Sempione a Milano, Beppe Viola era arrivato facendo tutta la trafila, ovvero cominciando con il rispondere negativamente alla fatìdica domanda: «Lei è comunista?», poi lavorando a cachet per qualche anno e alla fine venendo assunto, previo un certo numero di esami culturali. L'esame fondamentale si era svolto a Milano, e gli esaminatori erano gente .illu¬ stre non appartenente alla Rai, come Enzo Biagi, Dino Buzzati, Rubens Tedeschi e altri. «Secondo lei», gli aveva domandato Biagi, «Fanfani nello schieramento de sta a destra o a sinistra?». «Dipende dai giorni», aveva risposto Beppe Viola, e gli avevano sorriso e gli avevano detto che poteva andare. Era stato fortunato, non sempre gli sarebbe capitato di misurarsi con gente provvista di senso dell'umorismo. Non so come abbia fatto Beppe Viola a innamorarsi dell'opera di Damon Runyon (quando ancora non sapeva l'inglese) leggendo le traduzioni italiane. Ma nei racconti che portava a Linus in certi foglietti stropicciati e incisi da macchine per scrivere diverse non so come alternate nel comporre la stessa pagina o magari paradossalmente la stessa riga, appariva chiaro che aveva saputo tradurre quell'italiano sgangherato e piatto in un violesco suggestivo che del maestro rispettava soprattutto l'ammonimento contenuto nel titolo rivelatore di una raccolta di short stories del 1939 Take it easy. Fa' con grazia, la grazia che era servita al giornalista sportivo del Kansas per sconfinare nella letteratura. A proposito, non so neppure se Beppe Viola abbia mai veramente studiato l'inglese come promette o minaccia nella conclusione del memorabile racconto Lettera al Direttore: indirizzata ai sigg. dr. Emilio Rossi, dr. Nuccio Fava, dr. Biagio Agnes, dr. Mario Mauri in data 3 gennaio 1979: «Vado a Londra dal 10 gennaio prossimo, l'hanno fatto Marx e Mazzini, posso permettermelo anch'io. Per imparare l'inglese a mie spese (scusate la rima)...». Il violesco è un italiano particolare, un gergo elaborato dal paroliere della banda Jannacci, Pozzetto, Ponzoni, Teocoli, Boidi, dell'«Ufficio Facce», di «quelli che l'importante è esagerare». Felice, infelice, Beppe Viola era se stesso e gli altri che si reinventavano il mondo da abitare. «Non c'è più bisogno di lavorare», diceva lui, che lavorava moltissimo, «basta avere la rabbia e un posto sicuro. Indispensabile la rabbia, il posto sicuro si trova sempre. E, se per caso non l'avessi, fai in modo che ce l'abbia tua moglie, tuo padre (o madre), tuo figlio. Il resto, cioè la rabbia, gliela metti tu. Se non ce l'hai, peggio per te, sei nato sfigato...». Quando arrivò ad avere la quarta figlia andò a farsi fare la vasectomia e si arruolò tra i donatori d'organi. Ormai non gli restava più molto tempo da vivere. Se ne è andato a quarantadue anni, infelice, febee. L'ultima volta che l'ho visto veniva giù un'acqua della Madonna su Milano e, dalla finestra, contemplavo nella strada sotto casa mia un incosciente grande e grosso che con la camicia aperta e la testa nuda si prendeva tutta quell'acqua. Lo spettacolo dell'incoscienza affascina sempre, ma, dopo un poco che guardavo il tizio piantato proprio in mezzo alla via, mi è parso di riconoscerlo. Ma sì, era lui, Beppe Viola. E allora mi sono messo le scarpe con la para, l'impermeabile, ho preso un ombrello e sono sceso a cercare di capire. «Ma che cavolo fai?» ho protestato e con l'ombrello tentavo di coprirgli un poco la testa, ma, data la differenza delle stature, non era facile. Ho rischiato di portargli via un occhio. Mi son sentito più stanco che mai della mia vita da nano. «Si soffre, ma è bello», ha detto lui, beato, «talmente bello...». Il funerale in.partenza;dà'idaSismondi 36 è stato enorme. La scoperta di tutta la gente per cui, nell'accordo come nel disaccordo, Beppe Viola contava qualcosa. Oreste del Buono Beppe Viola visto da Altari

Luoghi citati: Benevento, Kansas, Londra, Milano, Spagna, Stelvio