TRA LUCCA E ROMA L'ULTIMA VACANZA DI TOBINO

TRA LUCCA E ROMA L'ULTIMA VACANZA DI TOBINO TRA LUCCA E ROMA L'ULTIMA VACANZA DI TOBINO IL libro postumo di Mario Tonino [Una vacanza romana) è una raccolta di scritti di diversa natura, messi insieme alquanto occasionalmente, quasi come l'estremo deposito dell'onda lunga di un'attività di narratore che si è svolta per più di cinquant'anni. Prevalgono gli scritti di memoria e più o meno esplicitamente autobiografici, che hanno al centro Lucca, cioè la città dove Tonino ha risieduto e lavorato per tanto tempo come primario dell'Ospedale psichiatrico. Sono pagine garbate, affettuose, commosse, come quelle che rievocano figure di amici quali «lo storico di Lucca» o «il caffettiere di via Santa Gemma», che danno il titolo a due dei più cordiali fra i racconti del libro. Non diverso è il tono della rievocazione ancora una volta ripetuta dei luoglii caratteristici di Lucca, come le mura, la chiesa di San Martino, le vie della città nei particolari più vivi e preziosi, in prose come La mia passeggiata, Cortile del seminario, I portali. Le mura di Lucca. Si avverte qui il lievito di uno stile raffinato ed elegante, che rimanda alle origini della scrittura di Tonino, fra espressionismo versiliese e viareggino e limpidezza tradizionalmente toscana. C'è, in queste pagine, il gusto dell'aneddoto incisivo, deUa descrizione sensibile e arguta, del piacere di dire ancora una volta l'affetto che lega lo scrittore alla città che è stata sua per tanto tempo. Di questa atmosfera è pervaso anche il racconto, fra storia remota e cronaca attuale, che narra la vicenda di Ilaria del Carretto, sposa di Paolo Guinigi, morta di parto molto giovane e immortalata nella statua di Jacopo della Quercia in San Martino (Lo ragazza che dorme in San Martino), ma forse meglio ancora si manifesta nella prosa Le mura di Lucca, nella parte che vi ha la leggenda lucchese di Lucida Mansi, la donna che secoli fa vendette l'anima al diavolo per mantenersi immune dalla decadenza fisica. Ma i due racconti La testimonianza di Parigi e La visita di suor Lina, il primo narrato in forma oggettiva, anche se non senza qualche intervento dello scrittore ad ammiccare dietro la vicenda, il secondo in forma decisamente autobiografica, mi sembra che siano i soli a mostrare in modo autentico la natura e la grandezza di Tobino narratore, di cui il resto del libro non è che un riflesso. Il primo è raccolto intorno alla figura di un grande poeta (abbastanza trasparente per chi ha il piacere di identificazioni del genere, cioè di ritrovare nell'invenzione della letteratura lo spunto reale d'origine), capitato a Parigi con la moglie insopportabile e ormai non più sopportata dopo anni di sottomessa convivenza, e ne è argomento lo sfogo, fra il preoccupato e l'ingenuo, a cui egli si lascia andare in un caffè con la bella nipote, che a Parigi è con l'amante, convocata per ascoltare le giustificazioni dello zio, che un poco teme per i ripetuti propositi suicidi della moglie, un poco ha bisogno di comprensione e di solidarietà per il fatto di averle somministrato, approfittando della miopia della donna, una dose tripla del normale di sonnifero, per potersene liberare per una sera e incontrarsi con la propria amante. Il racconto scorre fra mali zia e ironia, con un'allegria un poco sfrontata che è tutta merito della nipote del grand'uomo, che, dopo, non si tratterrà dal raccontare all'amante e poi anche nei sa¬ lotti, in Italia, le confidenze intime che lo zio le ha fatto. L'altro racconto rievoca la visita di una suora di un ordine minore, che viene a trovare lo scrittore per portargli quanto ha scritto per narrare la vita e celebrare la fondatrice delle Stimatine, Anna Lapilli. E' una narrazione al tempo stesso commossa e leggera, sorridente e piena di ammirazione e di rispetto per Anna Lapini e per suor Lina, venuta fino a Lucca da Firenze per raccomandare allo scrittore la propria fatica. Non mi convince per nulla, invece, il diario della «vacanza romana». E' la relazione di un periodo trascorso dallo scrittore a Roma nell'occasione di una grave operazione a cui viene sottoposta la donna amata. Ci sono, sì, ritratti incisivi e arguti, come quelli del grande chirurgo Alfonsina, che è omosessuale e non lo nasconde neppure troppo, o l'altro medico, l'aiuto chirurgo Tintori, fisicamente un poco strano e non piacevole, ma professionalmente molto efficiente; ma il diario è quasi ossessivo nel dire e ridire la natura del male e le mo¬ dalità dell'operazione, stranamente privo di pudore e pietà, ma anche di verità profonda. Infine, ci sono le cartelle cliniche delle pazienti dell'Ospedale psichiatrico che Tobino ha avuto in cura, ritrovate quando ormai sembrava che se ne fosse persa ogni traccia. Nell'estrema sobrietà delle notizie cliniche, vengono fuori i ritratti compendiosi e concentrati delle ricoverate, che Tobino altrove, ne Le libere donne di Mugliano, ne Gli ultimi giorni di Magliano, in Per le antiche scale, ha fatto oggetto di racconti, di ritratti, di rievocazioni più distese. Non si può negare a queste testimonianze l'efficacia immediata della vita colta in notazioni che, pur essenziali, contengono sempre anche i segni dell'interesse, della partecipazione. Giorgio Bàrberi Squarotti Mario Tobino Una vacanza romana Mondadori pp. 175, L 28.000 Mario Tobino