Afro la vita è un disegno

Afro: la vita è un disegno A Modena l'opera grafica Afro: la vita è un disegno /vi MODENA 1 ' ONSIDERATO negli Anni I Cinquanta e Sessanta 1 i uno tra i pittori più im\A I portanti della sua generazione, Afro non ha ancora raggiunto un meritato riconoscimento. Ricordiamo la sua appartenenza al Gruppo degli Otto pittori italiani sostenuto da Lionello Venturi alla Biennale di Venezia del 1952, di cui fece parte con Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Santomaso, Turcato e Vedova (tutti artisti oggi ampiamente riconosciuti), che nel dopoguerra avevano aperto una nuova dimensione all'arte italiana inserendosi nella tradizione europea verso l'informale, e superando così di netto la contrapposizione realismo/astrattismo. Rilevante dunque l'iniziativa di esporre alla Galleria Civica, fino al 5 aprile, l'intero corpus dei suoi bellissimi disegni compresi tra il 1938 e il 1975, introdotti nel catalogo Nuova Alfa da Fabrizio D'Amico, con un testo storico di Barbara Drudi. Questo denso corpus (262 pezzi, per lo più inediti), come accade soltanto in artisti dalla forte personalità, possiede una sua autonoma e monolitica struttura a latere della pittura, e testimonia un lavoro tenace e sicuro di decenni, fatto di ricerche e sperimentazione, «biografìa minima delle sue giornate, sismogrammi sensibili e scoperti dell'animo», scrive D'Amico. Afro Basaldella (nato a Udine nel 1912 e morto a Zurigo nel 1976) e fratello dello scultore Mirko, fin dagli anni giovanili tra Venezia, Milano e Roma dove risiedette, ebbe una spiccata predilezione per il disegno, testimoniata dagli album in mostra con schizzi a matita, bozzetti a carboncino, pastello e acquarello. Tra i disegni esposti degli Anni Trenta, sono interessanti alcune nature morte che, attraverso copie dell'antico, ci rivelano la sua attenzione per la tradizione pittorica italiana, in particolare veneta, alla quale, specialmente per il cromatismo, resterà sempre collegato. Dall'inizio degli Anni Quaranta, con la conoscenza delle opere di Matisse, Modigliani e soprattutto di Picasso, avvenne in lui il passaggio dalla figurazione alla scansione neocubista, con profilature geometriche, accatastate, a colori terragni e monocromi. Dal 1950 una ventata nuova entrò nella poetica di Afro, dovuta al soggiorno negli Stati Uniti e al successo di una sua mostra a New York: come per la pittura, vi è un momento di svolta per il disegno. Le tecniche si allargano agli inchiostri colorati, all'acquarello, al pastello; la composizione si dilata, acquista respiro secondo un «principio dissociativo» che, come ha notato Cesare Brandi, l'artista friulano apprese da Arsitile Gorky, l'artista americano che presentò in una mostra all'Obelisco di Roma nel 1957. Proprio dagli inizi degli Anni Cinquanta il disegno di Afro si caratterizza non soltanto come studio preparatorio delle opere su tela, ma come espressione autonoma: è la sua stagione felice dell'espressionismo astratto. Già presentati in una mostra alla galleria La Tartaruga di Roma nel 1960, possiamo ammirare disegni rapidissimi a inchiostro e acquarello, nei quali la saldezza tipica dell'impianto compositivo si fonde con un uso straordinario del colore a velature, radiante di luminosità espanse, di trasparenze, la cui spazialità segnata dal gesto ha la dimensione di un orizzonte infinito. Siamo nella linea dell'astrazione evocativa, o «astrattoconcreta» come Lionello Venturi chiamava la poetica del Gruppo degli Otto nel 1952: tra essi, Afro fu il più vicino a queste dichiarazioni di fede nella pittura come strumento artistico, legata a un rapporto sensoriale e emotivo con la natura. Illuminanti in proposito sono alcune frasi scritte all'amico Renato Birolli nei primi Anni Cinquanta: «Lavoro, lavoro... Ma sono molto testardo (come tutti i pittori d'altronde, quelli che vogliono diventare pittori sul serio) e so che dopo un po' che ti sbatti la testa finisci col l'ingranare un discorso chiaro, poi per un po' puoi svolgere un discorso conseguente». Nel 1956 ottenne il Premio alla Biennale di Venezia e conseguentemente l'invito per un murale al Palazzo dell'Unesco a Parigi, insieme con personalità come Picasso, Matta, Tamaya e Appel; sono in mostra i disegni preparatori per «Il giardino della speranza», opera di grande respiro e altissima qualità, con tonalità cromatiche rigorosissime. v Nei disegni degli Anni Sessanta è possibile cogliere suggestioni dell'automatismo di De Kooning e di Franz Kline, artisti che conobbe e stimò; ma la sua ondata astratto-espressionista è sul finire, poiché dalla fine degli Anni Sessanta alla sua morte possiamo notare un ritorno alla compattezza geometrica giovanile, alla monocromia, al rigore spaziale degli incastri, qualità che esercitò specialmente nell'attività incisoria e soprattutto nell'acquatinta. Mirella Bandini Un disegno di Afro: «Le Vampire»