A Ferrara preziosa rassegna con oltre 50 dipinti prestati dal Marmottan

Monet, specchio magico A Ferrara preziosa rassegna con oltre 50 dipinti prestati dal Marmottan Monet, specchio magico Da Parigi al giardino di Giverny c FERRARA LAUDE Monet? «Un genio... un maestro di verità», questo il giudizio di Proust che a Monet molto si ispirò per il personaggio di Elstir. Eppure, solo adesso a più di mezzo sècolo dalla morte, l'Italia dedica un'importante retrospettiva' al pittore che col suo celeberrimo Impression. Soleil couchant esposto a Parigi nel 1874, fornì à un critico malevolo lo spunto per dare il nome di impressionisti a dei pittori che avrebbero scardinato la tradizione rinnovando profondamente l'arte figurativa. L'iniziativa viene da Ferrara: grazie al concorso di Comune, amministrazione provinciale e Cassa di Risparmio, il Museo Civico è riuscito ad ottenere una cinquantina di opere dal Musée Marmottan di Parigi al quale ha prestato il «suo» Boldini. Dal 15 febbraio potremo vedere la mostra «Monet e i suoi amici» ospitata nelle splendide sale del Palazzo dei Diamanti fino al 15 maggio. In apertura, una biografia per immagini ricostruita attraverso scorci parigini, lettere, documenti, ritratti del pittore firmati da Manet e Carolus Durand, Nadar, oltre a numerose fotografie pressoché inedite soprattutto del periodo di Giverny, ossia gli anni 1883-1926, ai quali risalgono gran parte delle opere in mostra. Il percorso di Monet comincia con due caricature del 1858, l'epoca in cui diciottenne segue a Le Havre i corsi di disegno di un allievo di David e incontra Eugène Boudin che gli insegna a dipingere en plein air. Al paesaggio normanno e sulle spiagge di Trouville e Pourville, luoghi immersi in una luce acquosa, piena di riflessi, Monet tornò spesso, anche dopo il trasferimento a Parigi dove prese a frequentare il gruppo di artisti immortalato da Fantin Latour in Atelier aux Batignolles. Traccia di quei soggiorni sono il ritratto della prima moglie Camille sur laplage e alcuni paesaggi marini in cui, scomparsa la figura, protagonisti sono gli effetti del sole all'alba o al tramonto. Altre tele degli anni 18801900, testimoniano poi i viaggi in Norvegia, a Londra e in Italia dove venne con Renoir nel 1883. Vi ritornò l'anno dopo affascinato dagli azzurri e dai rosa del paesaggio di Bordighera che dipinse in numerose versioni. «Cerco di rendere questa luce fiabesca -scrisse al suo mercante Waldestein -. Qui è tutta una meraviglia di grigio piombo e di fiamme rosso arancio. La campagna diventa ogni giorno più bella... il paese m'incanta». Il risultato possiamo vederlo nel bellissimo Vallèe de Sasso. Effet de soleil, dove la bassa costruzione squadrata vicino al torrente è amalgamata a una fitta vegetazione ottenuta con un groviglio di pennellate grigio azzurro, grigio piombo, giallo rosa e punte di rosso cupo che rimandano con forza l'impressione di una luce avvampante. Con le prime Nymphéas, con qualcuno dei vari Pontjaponais e dei Saulepleureur; con ì'Allée des rosiers, con gli Irisjaune et mauve, ecco il periodo di Giverny e l'ultimo Monet, quello che smaterializza sempre più la forma per approdare a delle macchie di colori così stratificati e amalgamati da suggerire una nuova materia organica. Roseti e viale, ninfee e marezzature dell'acqua stagnante, glicini - abbarbicati a pergolato o pendenti a grappolo come stalattiti - e ponte giapponese, finiscono per formare un tutt'uno. In esposizione c'è solo un assaggio di tutte le serie che Monet dedicò a questi temi forniti da un paesaggio che lui stesso aveva ricreato e che considerava il suo vero capolavoro: il giardino della sua casa a Giverny, piccolissimo borgo nella suggestiva vallata della Senna, in Normandia. Qui, accostando in gradazioni policrome o per contrasto ciuffi di iris gialli e violacei, cespugli di grandi dalie ambrate o malvacee, e girasoli dorati, spalliere di rose in tutte le gamme, cappuccine rampicanti, amarillidi cremisi; mescolando insomma lo scarlatto dei rosolacci, l'azzurro delle pervinche e degli iris, il bianco candido dei gigli e giocando col riflesso di tutta questa vegetazione sugli specchi d'acqua di un torrente e di uno stagno, costruì un giardino che ancora oggi, da primavera ad autunno inoltrato, incanta il visitatore. A Giverny l'artista ormai anziano si accorse infatti che non aveva più bisogno di viaggiare per cercare dei luoghi speciali. Ora aveva davanti agli occhi «un luogo benedetto... pieno di dei» - come scrive Proust - di cui sulla tela poteva trasferire «l'essenza incantata», realizzando quadri che come altrettanti «specchi magici» avrebbero dato «nutrimento celeste alla nostra fantasia». A saperli ben contemplare - proseguiva Proust - si scoprivano «parti importanti della realtà». A Ferrara vedremo anche quindici opere appartenenti alla collezione porsonale di Monet tra cui uno, splendido tramonto sul mare di Delacroix, Falaises près de Dieppe, che tenne appeso in camera da letto fino alla morte. La passione per i paesaggi d'acqua e di riflessi «ammirabili da vedere, ma da diventar pazzi a volerli fare», come scriveva a Gustave Geffroy, è ancora testimoniata da due suggestivi acquerelli: La plage de Trouville di Boudin e una Venise che il giovane Signac regalò all'artista in ricordo del loro incontro nella città lagunare, nel 1908. Da qui, Monet scrisse con rammarico a Geffroy: «Peccato non esserci venuto prima, quand'ero giovane e pieno d'ardore». Ma torniamo al percorso di Monet, al progressivo abbandono dei paesaggi con figure, per le marine, la cattedrale di Rouen, i pioppi, le vedute del Tamigi in varie versioni a seconda della luce del giorno. A Giverny, questa ricerca proseguì fino allo spasimo, interessò anche il ciclo delle stagioni e col dissolvimento della forma approdò a una sorta di compenetrazione tra percezione dell'artista e paesaggio-natura. La progressiva cecità ebbe certo la sua parte, ma il percorso che in misura ridotta è possibile cogliere anche nell'esposizione ferrarese rivela un filo conduttore che non è soltanto dovuto a temi privilegiati come per esempio gli specchi d'acqua. «L'impressionismo - spiega Andrea Buzzoni dirigente dei Musei Civici e curatore della mostra - nasceva come una risposta psichica e sensoriale a uno stimolo che veniva dalla realtà, non era l'orgia dei sensi. Credo che Monet più degli altri sia stato coerente con questa idea. Mi pare che all'inizio abbia dato più peso alla natura. Poi diventa più, importante, e lo dice lui stesso, ciò che prova davanti alla realtà». I Ma come mai la sua opera arriva così tardi in Italia? A parte qualche isolato, come Giuseppe Marchiorri che assai tempestivamente segnalò l'importanza dell'ultimo Monet, grandi critici come Longhi e Venturi - ricorda Roberto Tassi in prefazione al catalogo - considerarono la pittura di quel periodo «uno scivolone», «un grave errore artistico». Era invece l'estremo approdo di una ricerca che ha influenzato più o meno direttamente, o comunque anticipato, la pittura informale e un certo astrattismo. Si pensa inevitabilmente a Pollock e ai suoi dripping . Non tutti sono d'accordo: le ultime tele di Monet conservano l'orma di un ponte o di un viale. Più recentemente, oltre a Modotti, come ricorda Tassi, anche Mario Schifano ha guardato a Monet intitolando Ninfee una sua serie di quadri. «Monet? Non era soltanto questione di occhio, era mania, lavoro, ricerca accanita...» dice il pittore. Per lui, per quanto non devoto come Proust, Monet è ai primi posti nella sua «lista di gradimento». Paola Decina Lombardi Claude Monet nel suo atelier a Giverny e in un ritratto di Edouard Man et. Sotto: «Le Mont Kolsaas» (1695) un paesaggio dipinto da Monet in Norvegia