La lettera di Togliatti e i morti traditi da tutti

La lettera di Togliatti e i morti traditi da tutti •/::V dilli LETTERE AL GIORNALE: IL LUNEDI' DI O.4.B. La lettera di Togliatti e i morti traditi da tutti lo non sono disposto Spett. sig. Del Buono, non sono disposto a credere che qualcuno si sia presa la briga di fabbricare una lettera con affermazioni schifose attribuendole a Togliatti e che abbia lanciato il falso nel momento elettorale. Togliatti avrà sicuramente scritto le frasi incriminate. Si può spiegare (che è una cosa diversa dal giustificare) il livore di Togliatti col fatto che, esule da tanti anni, non reputava opportuno intercedere presso il grande capo, con l'obbligo di ricorrere, per ottenere qualcosa, a sottili distinzioni fra responsabilità delle alte gerarchie fasciste e quella di tanti poveracci mandati a combattere e morire a 40 gradi sottozero vestiti come se dovessero effettuare esercitazioni in Italia. La manifestazione cinica c'è stata, eccome, e nemmeno a dirsi si è trovata subito la voce disposta a difendere l'autore. Si potrebbe fare il paragone fra il più dignitoso esilio vissuto dai Saragat, Nenni, don Sturzo, Sforza, Pacciardi, De Gasperi ecc. Ma forse è meglio approfittare del¬ l'occasione per rammentare una vecchia storiella che molti avranno già sentita: «Sai, il tizio ha strozzato la nonna per derubarla». E l'interlocutore di rimando: «Beh, in fondo non è un gran che. Che dire di quello che in una occasione simile strozzò anche il nonno?». Rammento questa storiella perché nella difesa a tutti i costi di un crimine ideologico si è ricorsi - come sempre, del resto - a citare porcherie, vere o supposte, di altri... Pippo Portoghese, Torino Mi dispiace, gentile signor Portoghese, ma nella sua ansia di scrivere più volte alla settimana (o al giorno) a questo giorna • le, non s'è accorto che a questo argomento le barzellette non si addicevano proprio. [o.d.b.] La cosa non è nuova Egregio dottore, se veramente scritte o dette o solo pensate, le parole di Togliatti sulla tragica sorte dei soldati italiani prigionieri in Unione Sovietica suscitano indignazione e orrore. Purtroppo la cosa non è nuova e sembra far parte del comportamento di uomini politici particolarmente disinvolti seguaci della doppia morale, privata e pubblica. Per fare un esempio, mi riferisco al conte di Cavour, che durante la guerra di Crimea non esitò a mandare allo sbaraglio soldati italiani per guadagnare un posto al tavolo dei grandi dell'epoca. Un altro esempio più recente è quello di Mussolini che dichiarò guerra alla Francia ormai a pezzi per avere mille morti come biglietto d'ingresso alle trattative di pace. Poi ci sono i morti delle numerose stragi e ammazzamenti degli ultimi anni che sembrano programmati per pilotare la politica italiana in una certa direzione. L'uomo della strada continua a non capire e a non giustificare oppure passa ad arrabbiarsi e punire severamente i nostri machiavelli (col voto)... Giovanni Riccio, Cosenza Gentile signor Riccio, speriamo che il voto possa davvero servire a tirarci fuori da questa orribile confusione, in cui si arriva a speculare persino sui morti che furono traditi da tutti. [o.d.b.] Mio padre in Russia Caro signor Del Buono, come figlio di un militare disperso in Russia (sottotenente Gino Carra, classe 1916, divisione Pasubio) sono profondamente indignato per la speculazione politica (comprese le ignobili vignette di Forattini), che si sta montando sul caso della presunta lettera di Togliatti a proposito del trattamento riservato ai prigionieri italiani in Unione Sovietica. Sarebbe quanto meno prudente sospendere per un momento il giudizio definitivo sulla vicenda in attesa della conferma dell'autenticità della lettera che, in realtà, lascia adito a parecchi dubbi. Ad esempio la questione delle date solleva perplessità al riguardo. Togliatti avrebbe risposto in data 15 febbraio '43 a una lettera inviatagli da Bianco in data 30 gennaio. Ora, a questa data, i nostri alpini, i pochi superstiti della ritirata, erano appena usciti dalla sacca (la battaglia di Nicolaewka è del 26 gennaio), mentre purtroppo la grande maggioranza o giaceva insepolta nella steppa o era già stata fatta prigioniera o stava per esserlo, ma con ogni probabilità si trovava ancora all'interno della zona di operazioni militari (bisogna ricordare che la ritirata del Corpo di armata alpino, per una colpevole decisione del comando tedesco, al solito non contrastata da quello italiano, era cominciato solo il 16 gennaio). Quanto alle divisioni di fanteria (Torino, Cosseria, Ravenna, Pasubio ecc.), ai primi di gennaio, nonostante le forti perdite, erano ancora in grado di ricostruire una provvisoria linea di difesa, perciò la cattura di quei militari, i più derelitti fra gli sventurati della campagna di Russia, deve ascriversi a un periodo successivo a quella data. Ricordo, ad esempio, che testimoni oculari riferirono alla mia famiglia di avere incontrato per l'ultima volta mio padre il 13 dicembre '42 nella zona di Millerovo, località a ridosso del fronte, mentre si accingeva a raggiungere le prime linee. Pare probabile, quindi, che alla data del 30 gennaio '43 la dolorosa realtà dei campi di prigionia non potesse an¬ cora essere funzionante, dal momento che la grande massa dei prigionieri di varie nazionalità tra loro frammiste (italiani, tedeschi, romeni, ungheresi, croati eccetera) si trovava sempre in zona di operazioni o in zone immediatamente adiacenti. Se poi si considera che con la resa di Stalingrado ( 10 febbraio '43) il numero di prigionieri in mano russa si avvicinò al milione, si può comprendere che problemi logistici ciò comportasse, comunque non risolvibili certo in pochi giorni. Quali informazioni poi potessero avere Bianco e Togliatti sugli avvenimenti bellici in corso è facile immagina¬ re, tenuto conto della confusione del momento, della censura militare e della scarsità di comunicazioni. Ma, se anche la lettera di Togliatti risultasse alla fine vera, ciò riguarderebbe solo lui e la sua coscienza, poiché nessun comportamento a lui ascrivibile avrebbe potuto mutare, date le circostanze, il corso degli eventi. Per me, per la mia famiglia, come credo per la maggioranza delle famiglie dei caduti o dispersi, o di coloro che vissero sulla propria pelle la terribile esperienza della campagna di Russia, i soli responsabili di fronte alla storia di questa immane tragedia sono, e restano, il fascismo e il suo capo, che per cinico calcolo politico, senza esservi costretto da alcuna necessità, contro il parere dei suoi generali, volle mandare allo sbaraglio migliaia e migliaia di giovani vite. Questa è la sola realtà dei fatti, il resto è indecorosa propaganda. Paolo Carra, Ivrea Caro signor Carra, la ringrazio per questa testimonianza filiale e mi associo alla sua indignazione, [o.d.b.]