E don Bosco maledisse il re

E don Bosco maledisse il re Battaglie in 726 lettere E don Bosco maledisse il re TORINO APO dei birichini», prete da cortile, postulante barricadero, instancabile nel batter cassa per i suoi ragazzi presso re, ministri e nobili, maestro nel coinvolgere tutti nelle sue lotterie, tenacemente persuaso della propria missione di sacerdote «delle carceri, degli ospedali e della strada», strenuo difensore della causa «guelfa»: questo il don Bosco che emerge dalle 726 lettere scritte tra il 1835 e il 1863, raccolte nel primo volume dell'Epistolario pubblicato dalla Libreria Ateneo Salesiano in edizione critica e presentato ieri a Torino. «Sono lettere stringate, vanno dritte allo scopo, hanno il sapore di una telefonata», dice il curatore don Francesco Motto, direttore dell'Istituto storico salesiano, che ne ha raccolte 5500 in dieci anni di lavoro. Le lettere di questo primo volume sono per una buona metà inedite, come quella indirizzata a Vittorio Emanuele II nel 1849, la prima di una lunga serie: «Maestà, mi trovo nella condizione di non poter più continuare», scrive senza tante cerimonie. Nel chiedere un sussidio per i tre oratori torinesi, non manca di ricordare al sovrano che l'opera è stata già munificata «dall'Augusto suo Genitore» Carlo Alberto. Al re, don Bosco non risparmia moniti luttuosi: tra il dicembre del 1854 e il marzo del 1855 gli invia tre comunicazioni per preannunciargli la morte di quattro membri della famiglia reale se non ritirerà la legge Rattazzi sulla soppressione di alcuni ordini religiosi. Le parole di don Bosco si avverano poco dopo l'invio di ciascuna lettera: muoiono la madre del re, Maria Teresa, la moglie Maria Adelaide, il fratello Ferdinando e il figlio Vittorio Emanuele Leopoldo. Gli originali non sono stati trovati, ma don Motto ha messo le mani su un autografo conservato a Lisbona, in cui don Bosco rivela (in terza persona) a un sa¬ cerdote portoghese di essere l'autore di quelle profezie: «Una persona ispirata da Dio e veramente coraggiosa scrisse più volte al Re avvisandolo che sarebbero piombati mali sopra mali se non ritirava la legge fatale». Le lettere a Pio LX rivelano la nascita di un'amicizia intensa e solidale. In due inediti del 1859 e del 1860, alla vigilia dell'unità d'Italia, don Bosco informa il Papa sulle vicissitudini della Chiesa in Piemonte. Condanna «quella parte di clero che ha festeggiato l'annessione» allo Stato italiano di territori pontifici e dichiara di temere «un governo che si regge sulla rivoluzione, la giornaliera diminuzione di buoni cattolici e il gran numero di nemici che si rifugiano tra noi o vanno a ingrossare le file dei ribelli nelle Romagne». Altrove rende noto al pontefice un progetto di cospirazione di cui è venuto a conoscenza. Di grande interesse due appunti, anch'essi finora sconosciuti, con i quali lo supplica di poter leggere, «per motivi di studio», libri «proibiti», ovvero messi all'Indice, «che versano su materie Letterarie, Politiche, Filosofiche, sulle Matematiche pure e miste, Scienze Fisiche, Chimiche, Astronomiche, Storia Naturale, Diritto di Natura e delle Genti, non che in sacra Teologia». L'uomo d'azione don Bosco chiede e chiede. Ai ministri della Guerra: «Coperte, lenzuola, scarpe, mutande, camicie, giacchette»; ai ministri dell'Istruzione: il riconoscimento delle scuole salesiane; al presidente del Consiglio Cavour: «Non dimentichi quanto riguarda a questa nostra povera Diocesi» (c'era da risolvere la vertenza dell'Arcivescovo di Torino, Fransoni, in esilio a Lione). «Interessantissime le 50 lettere a Rosmini - ha notato lo storico Francesco Traniello, nel presentare il volume -. I rapporti tra i due amici e le loro congregazioni si rivelano molto più stretti di quanto finora si credesse». Maria Chiara Bonazzi

Luoghi citati: Italia, Lione, Lisbona, Torino