«Soffrivo partorendo e la gente rideva» di Fulvio Milone

«Soffrivo partorendo e la gente rideva» Caserta, una donna somala dà alla luce un figlio per strada senza che nessuno l'aiuti «Soffrivo partorendo e la gente rideva» Salvata dai poliziotti dopo 40 minuti Era distesa con il bimbo sul ventre CASERTA DAL NOSTRO INVIATO Fatima non ha neanche un lampo di collera nello sguardo, e il tono della voce è pacato, quasi rassegnato. Tradisce un attimo di emozione solo quando ricorda la gente che la circondava, e che la osservava senza muovere un dito mentre partoriva sul marciapiede, come una cagna randagia, nel freddo della sera. Allora si passa una mano sugli occhi e mormora in italiano stentato: «Ridevano. Sì, ridevano mentre qualcuno di loro indicava le mie gambe spalancate. Dio, che vergogna». Fatima Yusuf, 25 anni, ha lasciato nell'85 Mogadiscio, in Somalia. Voleva sfuggire alla fame, ma in Italia ha trovato di peggio: prima la droga, tra i casermoni di cemento di un quartiere alla periferia di Roma, poi un uomo che l'ha abbandonata dopo averle dato tre figli, infine l'indifferenza e il cinismo in un paese sperduto nella provincia casertana. Lì si concentra un esercito di immigrati clandestini, che per il futuro possono sperare al massimo in un ingaggio nelle file della camorra. Lo scenario in cui si svolge questa brutta storia è la statale Domitiana, una strada larga e diritta che taglia in due il Comune di Castelvolturno. Fatima ha trascorso quaranta interminabili minuti distesa sul marciapie¬ de, con il corpo squassato dalle doglie, a due passi da un bar malfamato e pieno di clienti e un autosalone con le grandi vetrine illuminate. Ha partorito da sola, senza che nessuno le desse una mano. Le sue pene sono finite poco dopo le cinque della sera, quando tre poliziotti hanno chiesto un'autoambulanza dopo averla vista con il bambino adagiato sul ventre e avvolto in una sciarpa, con il cordone ombelicale ancora attaccato. Madre e noenato sono ricoverati nell'ospedale civile di Caserta. Il bimbo è stato messo in incubatrice, nella divisione di terapia intensiva,«Ma si tratta di una semplice precauzione - precisano i medici -. Pesa due chili e trecento grammi, è in buone condizioni di salute». «Lo chiamerò Davide», dice Fatima, che subito aggiunge ansiosa: «I medici devono controllarlo e curarlo. Nelle mie vene scorre poco sangue e molta altra roba». La donna è ricoverata al sesto piano, nel reparto maternità. Divide la stanza con un'altra paziente, Amalia, che le ha prestato una camicia da notte e le siede accanto, stringendole la mano. Ha lo sguardo stanco, mentre racconta la sua storia. «Prima vivevo a Roma. A Castelvolturno ci sono arrivata nove mesi fa, quando mi sono accorta che ero incinta per la terza volta. Il mio uomo mi ha lasciata: se ne è andato a lavorare in Germania, portandosi dietro gli altri due miei figli, Dalas di cinque anni e Alessandra, che ne ha solo 3. Sono venuta qui perché ho dei parenti. Abitano tutti in un piccolo albergo che si chiama «007», sulla Domitiana». • Fatima, cosa è accaduto quella sera? Ho lasciato l'albergo alle quattro del pomeriggio, con i miei cugini. Siamo entrati nel bar Mexico per bere un tè, ma loro si sono accorti di aver lasciato i soldi in camera. Resta qui, mi hanno detto, torniamo fra poco. Le pri¬ me contrazioni le ho avute pochi secondi dopo che mi hanno lasciata sola. Ho avuto altri figli, quindi ho capito subito che il bambino stava per nascere. Sono corsa in bagno, ho tentato di calmarmi, ma il dolore aumentava. Allora sono tornata nel bar, per chiedere aiuto. Mi sono rivolta ad una donna, le ho detto che doveva portarmi in ospedale, che stavo per partorire. Lei si è messa a ridere e mi ha detto: non preoccupati, hai ancora tempo per fare il figlio. E se ne è andata. Non l'ha aiutata? No. Il dolore aumentava, sono uscita in strada per cercare qualcuno che mi portasse da un medico. Ho camminato per un po', poi mi sono aggrappata a un lampione. Non ce la facevo più: sono caduta sul marciapiede, non vedevo più niente, sentivo un ronzìo continuo. Credo di essere svenuta. Quando ho aperto gli occhi ho visto tanta gente attorno a me. Le doglie erano sempre più frequenti, gridavo e sup¬ plicavo che mi dessero una mano. Tra gli altri c'erano due uomini, che mi guardavano ridendo. Uno diceva all'altro: uh. guarda la nera che sta combinando. Sembrava che stessero vedendo un film comico. Mi vergognavo da morire, ma non riuscivo a non dimenarmi, a non urlare. Sentivo che il bambino stava uscendo. La gente si fermava per un po', poi se ne andava. Anche le auto rallentavano, poi tiravano avanti. Il bimbo è nato da solo? Sì, da solo. Quando è uscito completamente, una donna mi ha tolto la sciarpa dal collo e lo ha coperto. Poi me lo ha messo sulla pancia. Vorrei ringraziarla: quella è l'unica persona che è stata buona con me. Mi è rimasta accanto fino a quando sono arrivati i poliziotti che mi hanno detto di essere stati avvertiti con una telefonata anonima. Anche loro sono stati gentili. Mi dicevano di non preoccuparmi, che il peggio era passato, e che l'autoambulanza sarebbe arrivata presto. Era la verità. Mi hanno portato subito in ospedale, ed è tutto finito. I medici dicono che Davide sta bene, e questo è più importante di ogni altra cosa. Non provo rabbia. Solo tanta vergogna per tutta quella gente che mi guardava e rideva. Voglio curarmi e occuparmi del bambino. Fulvio Milone Wmm «Chiudevo gli occhi perché sembrava stessero guardando un film comico. Provo vergogna, non indignazione» r-'<ÌWé"" Il luogo dove Fatima Yusuf (in basso) ha dato alla luce il piccolo Davide. Ora entrambi sono in ospedale

Persone citate: Fatima Yusuf, Provo

Luoghi citati: Caserta, Comune Di Castelvolturno, Germania, Italia, Mogadiscio, Roma, Somalia