Quei fedelissimi espulsi a loro insaputa

Quei fedelissimi espulsi a loro insaputa Quei fedelissimi espulsi a loro insaputa Il figlio di Fiorini e la vedova Gardoncini: «Memoria infangata» TORINO. Battista Gardoncini, classe 1895. Giacomo Fiorini, classe 1909. Nella lista del Komintern figurano tra gli espulsi traditori. Il figlio di Fiorini, Franco, 56 anni, titolare di Piemonte in bancarella, non vuole crederci, poi legge e si rigira quell'elenco tra le mani: «E' un momento, in Italia, che si butta spazzatura in faccia a tutti. Espulso, mio padre. Un uomo che per i suoi ideali è stato arrestato la prima volta nel '27, a 18 anni» dice, e chiede scusa per la commozione. Poi racconta di Giacomo Fiorini, venuto a Torino da Grosseto nel 1922, dopo che in Toscana i fascisti gli avevano bruciata la casa: «A Torino, nel 1926, s'è iscritto al partito. Faceva l'operaio, ma l'hanno licenziato dalla Ceirano e dalla Nebbiolo per le sue idee. Così s'è messo a fare quello che già faceva mio nonno: ambulante di libri». Nel 1928 Fiorini è arrestato, processato e condannato con Giancarlo Pajetta per diffusione di stampa comunista nelle fabbriche: «Da allora ha passato anni dentro e fuori dal carcere. Mi ricordo i fascisti che venivano a casa, met- tevano mia madre contro il muro e le puntavano il mitra in faccia. Urlavano che se non diceva dov'era mio zio, antifascista combattente, e dov'erano le armi,, ammazzavano mio padre in galera. Le armi erano nel tombino di via Cernaia 36, mio zio Franco era in montagna a comandare la 47a brigata Garibaldi». Franco Fiorini, sulla bancarella in corso Siccardi, cerca la Storia del partito comunista che Paolo Spriano ha scritto per Einaudi: «Eccolo qui, mio padre, nell'indice dei nomi. E nemmeno qui risulta l'espulsione». La vedova di Gardoncini, Te- resa, 91 anni, ricorda ancora il giorno in cui Battista scappava per i tetti, mentre i tedeschi buttavano all'aria casa e officina: «Stavamo in via Cigna, erano i primi di settembre del '43. Mio marito fu preso un anno dopo. L'hanno fucilato il 12 ottobre 1944, e al partito comunista era iscritto dall'inizio, proprio dal '21. Espulso? Non è vero». Teresa Gardoncini cerca nel comò e trova una lettera, datata 12 giugno '44. Battista le scrive dalle valli di Lanzo dove comanda la divisione Garibaldi: «Voglio fare qualcosa di buono nel mondo, ne ho ancora il tempo e qualche ca¬ pacità. Il partito ha fiducia in me e così sono sicuro da parte tua». Domanda Teresa: «E' la lettera di un espulso, questa?». Comunista, racconta la signora, suo marito lo era già quando l'ha conosciuto, «altrimenti non sarebbe piaciuto a mio padre». Fu sempre sorvegliato speciale: «Ogni volta che Mussolini programmava un viaggio a Torino finiva dentro: lo fermavano a scopo preventivo, un paio di giorni prima. Lo rilasciavano solo a duce ripartito». Nel 1935 Battista Gardoncini lascia la fabbrica e si mette in proprio, meccanico stampatore, officina in via Cigna 45: «Ma oltre a fare il meccanico era antifascista a tempo pieno, e contro il fascismo e la guerra distribuiva volantini. Nel 1941 fu arrestato e poi assolto per insufficienza di prove. Miracoloso, perché era proprio colpevole». Subito dopo l'8 settembre, Gardoncini «va in montagna»: «Da quella volta che è scappato sui tetti, in via Cigna non è più tornato. Andavo io a trovarlo, mi chiamavano la mamma dei partigiani perché portavo da vestire per tutti. Un anno dopo, nelle Valli ci fu un rastrellamento e anche Battista fu arrestato». E' il settembre 1944. A fine mese, il partigiano Gianni Doline l'assessore comunale all'Istruzione delle giunte rosse, scende in città per proporre uno scambio al comandante della piazza di Torino, il tedesco Schmidt: 120 prigionieri tra fascisti e tedeschi, due sottufficiali compresi, per la libertà di Battista Gardoncini. Anche Teresa prende parte alla trattativa. Ricorda: «Non ci fu niente da fare. Schmidt disse che si faceva garante della vita di mio marito, ma non me lo restituì». Il 12 ottobre 1944 una bomba esplode all'albergo-ristorante «Tre Re», via Cibrario angolo piazza Statuto, ritrovo abituale dei tedeschi. Immediatamente dopo, nove prigionieri sono prelevati dalle Nuove e fucilati lì, su quell'angolo di piazza. Tra loro c'è Battista Gardoncini, classe 1896, meccanico stampatore e «antifascista a tempo pieno». Servizi a cura di Gianni Armand Pllon Eva Ferrerò A sinistra Franco Fiorini, libraio figlio di Giacomo Qui a fianco Teresa Gardoncini vedova di Battista

Luoghi citati: Grosseto, Italia, Piemonte, Torino, Toscana