Spuntano le liste nere del pci

Spuntano le liste nere del pci Un documento del '43 scovato da Andreucci negli archivi del Komintern Spuntano le liste nere del pci Segnalati a Mosca come spie 87 comunisti TORINO. Spie e provocatori. Persone sospette. Traditori. Espulsi dal partito. Sono 87 i nomi dei comunisti piemontesi finiti nella «lista nera» scovata dallo storico Franco Andreucci negli archivi del Komintern a Mosca, che domani sarà pubblicata da Panorama. Operai e tipografi, tramvieri e commercianti, ambulanti di libri e «agenti dell'Ovra», lo spionaggio fascista. Un documento che porta indietro di 50 anni, di fronte al quale sia i parenti delle 87 persone «segnalate», sia gli storici, sono stupiti e scettici. «Non aggiunge nulla a quello che già si sapeva» è il commento del professor Giovanni De Luna, docente di Storia dei partiti e dei movimenti politici all'Università di Torino. «Del resto, per tornare al clima di quegli anni ci si può rifare al film di Francesco Maselli, "Il sospetto": il protagonista, Emilio, dubita persino dei compagni del suo stesso direttivo». Sono i tempi della riorganizzazione del movimento comunista italiano sotto il regime fascista. Tempi di tribunali speciali e clandestinità, nei quali tutti sospettavano tutti. Nell'elenco ci sono due nomi famosi, antifascisti che si distinsero nella lotta operaia e partigiana piemontese: Gaspare Arduino, arrestato 18 volte nel ventennio per la sua attività politica, e Battista Gardoncini, comandante partigiano fucilato dai nazifascisti e decorato con una medaglia d'oro alla memoria. Ma erano comuni cittadini molte di quelle 87 persone che il partito (il massimo dirigente comunista di allora a Torino e Milano era Umberto Massola) segnalò il 6 aprile del 1943 al bulgaro Georgj Dimitrov, capo del Komintern. Faceva il tipografo e lavorava anche su commesse di regime quell'«Agnesi» che apre la lista del Komintern, categoria «spie e provocatori». In realtà si chiamava Mario Anesi, casa e bottega in via Stampatori 12, nel centro di Torino. La sua storia politica e personale è nelle carte custodite nella busta 236 dell'archivio del tribunale speciale del fascismo. Il tipografo fu arrestato il 12 agosto 1927 perché sorpreso a stampare giornali e volantini pei. Interrogato dalla polizia insieme con la moglie Agnese Ferrerò, confessò tutto e probabilmente fece i nomi di quelli che gli avevano offerto l'incarico. Ma in una lettera di supplica al governo, 1° settembre 1927, chiarì quali fossero i suoi rapporti con la politica: ««Non ho mai fatto parte di alcun partito. Ero iscritto al "Touring club italiano" per qualche gita in montagna per le mie precarie condizioni di salute, e alla "Famija Turinèisa", alla quale appartenevo dalla fondazione. Imploro questo perdono e, senza essere fascista, sarò il più scrupoloso osservatore delle leggi dello Stato». Venne scarcerato l'8 settembre del 1928. «Proprietario di tipografia» e anche lui tra le «spie e provocatori», come riporta la lettera del Komintern, era Mario Battistini, denunciato al tribunale fascista con Claudio Bricca, detto «Brichèt», «traditore» nell'elenco. Bricca teneva i contatti con quelli del movimento di «Giustizia e libertà». Chi l'ha conosciuto ricorda che finì in carcere con Roveda, sindaco torinese della Liberazione: fu amnistiato nel '41 per via della sua cecità. Aveva agganci con i sindacalisti anarchici e simpatie trotzkiste. Alle sue amicizie, ritenute «sospette» dalla rigida ortodossia staliniana, si deve guardare per capire il motivo del suo inserimento tra gli 87. Del gruppo di «Brichèt» faceva parte Battistini, che rispetto al suo compagno aveva un motivo in più per finire fra gli schedati: aveva una relazione con Pasqualina Rossi, donna che i verbali della polizia fascista descrivevano come «libera pensatrice». E' da questi profili che muove il professor De Luna per «leggere» in una prospettiva storica la lista nera di Mosca: «E' l'esemplificazione di quanto poco contasse il pei nell'Italia di quegli anni. Dirigenti e militanti passavano più tempo a spiarsi l'un l'altro che a fare politica. Non potendo avere dalle masse una verifica delle loro azioni, tutto si rifletteva e esauriva all'interno della struttura che si stava riorganizzando. Direi che questi elenchi possono essere considerati come un risultato dei guasti della clandestinità». Aggiunge: «Molte delle persone segnalate hanno in comune processi al tribunale speciale: il timore che qualcuno potesse parlare faceva scattare il sospetto». Ma è per le sue idee, che si rifacevano alla tradizione del socialismo riformista, che nell'elenco figura anche Gaspare Arduino, operaio alla Fiat Acciaierie. Fu lui, l'il marzo 1945, a organizzare lo sciopero che bloccò la Grandi Motori. La sera, quattro fascisti andarono a casa sua, presero le figlie, Vera e Libera, le portarono sulle rive della Pellerina e le fucilarono, gettando i corpi nel canale. Quella notte fu ucciso anche il fidanzato di Vera: il cadavere venne trovato il giorno dopo al parco del Valentino. Traditori? Spie? Provocatori? Gli scettici trovano conferme ai loro dubbi nella storia della Torino di quegli anni. Una storia fatta di movimenti articolati, «presenze» non sempre omogenee che rispettavano la linea del partito comunista, ma a volte «pensavano con la loro testa». E questa non era la logica della «terribile chiesa» sovietica. Mm. Urano, M,ano ? ""■cranico (< _ n. 101 del 2*9-1928 " *** Giancarlo Paietta , ^ " Presti ' T°r,no 24-6-<9r>, u»ée£ "ll'opc(Appnrtc- 101 Sopra, il testo della sentenza di condanna di Fiorini e Giancarlo Pajetta per diffusione di stampa comunista Sotto, Giacomo Fiorini ai tempi del processo

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