« Sarei stato la diciottesima vittima »

« Sarei stato la diciottesima vittima » L'ECCIDIO DEI PARTIGIANI « Sarei stato la diciottesima vittima » Parla l'unico superstite della strage di Porzus PINEROLO DAL NOSTRO INVIATO Ecco «Centina», il generale degli alpini Aldo Bricco, che adesso ha 79 anni, ma come allora è forte e dritto, «sereno e furibondo» nel raccontare di come gli è capitato di essere l'unico scampato all'eccidio di Porzus, quella nera pagina nella storia della Resistenza, che ha visto italiani contro italiani, partigiani rossi contro partigiani bianchi. Diciassette uccisi nella divisione Osoppo, prima fucilati, poi straziati in quella spedizione punitiva dei «rossi» alle malghe di Porzus che il presidente Cossiga avrebbe dovuto celebrare oggi. Il generale Bricco, serenamente seduto nella sua bella casa di Pinerolo, ci racconta com'è andata, il senso di quella piccola grande guerra civile sul confine italo-sloveno, le ansie, le paure, i sentimenti, l'ansimante ricordo del fiatone gròsso mentre correva nella neve e gli sparavano addosso. «Ci avevano presi, me e Bolla, il comandante. Abbiamo sentito gridare: portateli dentro. Bolla era avanti, io dietro. Uno mi ha gridato: vigliacco, bastardo, traditore. E subito un pugno mi ha colpito forte, sulla faccia. Sono finito contro la parete della malga. Erano cento, sparpagliati nella neve, sapevo che non era ragionevole pensare di scappare. Ma per giorni, per mesi avevo ripetuto dentro di me che se mi avessero preso, fascisti o nazisti, ci avrei provato. Quell'idea era diventata un riflesso». E allora Centina ci prova. «Sono schizzato come una molla, mi sono messo a correre come un forsennato. Sapevo che non c'era scampo, eppure correvo giù per la montagna e sentivo le pallottole che mi entravano nel corpo, dalla schiena: ai fianchi, una alla spalla, in mezzo ai reni, il sangue, caldo, scendeva giù per i pantaloni e mi riempiva lo scarpone, eppure le gambe mi portavano, andavano veloci come se non fossi io a comandarle. Sono arrivato a un dirupo: o gettarsi o arrendersi. Ho fatto il salto: sette o otto metri, la neve mi ha aiutato. E poi di nuovo di corsa, mentre le pallottole facevano spruzzi di neve intorno...» Tornati da «Giacca», comandante dei garibaldini, i cecchini dissero che l'avevano preso, «l'avemm copatt», ucciso. Centina, invece, continuava la sua corsa verso il primo paese, rotolando nella neve, mentre dalle sei ferite gli usciva il san- gue e la vita. Su, alle malghe, mille metri di quota, dall'alto della pedemontana TarcentoCividale, si consumava la vendetta. Primo venne ucciso Francesco De Gregori, romano, capitano degli alpini, capo di stato maggiore delle formazioni bianche, un «padreterno» ricorda Bricco, monarchico, antifascista, anticomunista. Poi, via via, gli altri sedici, tutti quelli che il mattino del 7 febbraio 1945 si trovavano alle malghe. Tra loro Gastone Valente, Enea, il delegato politico di Giustizia e Libertà che stava accanto a Centina; Guido Pasolini, Ermes, 19 anni, colto e coraggioso, fratello di Pierpaolo. Come si è arrivati allo scontro tra italiani? De Gregori, ufficiale dell'esercito, aveva combattuto in Francia e in Grecia. Bricco, capitano degli alpini, aveva partecipato alla campagna di Russia nella divisione «Julia», battaglione Tolmezzo, meritandosi sul campo una me¬ daglia d'argento e una di bronzo (tra il dicembre del '42 e il gennaio del '43) nei combattimenti sull'ansa del Don. Dalla Russia, Bricco, era tornato in patria con le idee ben chiare su nazisti e fascisti: «I tedeschi ci avevano pestati e maltrattati; i fascisti ci avevano spediti in Russia in quelle condizioni. Chi, come me, aveva fatto la tremenda ritirata nella steppa, non poteva avere esitazioni: l'8 settembre salii in montagna con gli ufficiali di Tolmezzo per sostenere la lotta di resistenza ai nazifascisti. Avevo 32 anni e mi sentivo un leone». Nell'estate del 44 si incrociarono così per la prima volta i destini di Centina con quelli di Bolla, il capitano De Gregori, comandante delle unità che facevano parte della divisione mista «Garibaldi-Osoppo» che in quel periodo presidiava una vasta zona del Friuli: Tarcento, Attinis, Faedis, Cividale, fin sulla collina, verso Est. «Eravamo ben organizzati, grazie ai lanci alleati: vivevamo in una specie di repubblica indipendente, come quella dell'Ossola». Ma all'inizio di settembre un tremendo rastrellamento dei tedeschi spinge i garibaldini a rifugiarsi con i partigiani jugoslavi; gli osovani, invece, resistono sulle loro colline, intorno al monte Carnizza, sede di comando le malghe di Porzus. Il 7 novembre, ricorda ora Bricco, 27° anniversario della grande rivoluzione sovietica, i garibaldini della «Natisone» accettano di dipendere operativamente dal nono Corpus Sloveno, di fatto rompono l'alleanza con gli osovani e aprono un'altra guerra: civile, di classe, proletari rossi contro borghesi bianchi, da una parte con Tito, dall'altra a difendere i confini del 1918. «E tutto diventa chiaro - racconta Bricco - alla fine di novembre quando in una riunione a Canebola arriva anche un capitano sloveno. I capi garibaldini propongono agli osovani di passare alle dipendenze del corpus sloveno, ma noi rifiutiamo: era fin troppo evidente che se avessimo accettato, .a guerra finita,.il Friuli orientale sarebbe stato «liberato» dal nono Corpus, dagli sloveni, dalla Jugoslavia. Al nostro rifiuto ci fu una specie di dichiarazione di guerra: ve ne pentirete, vi annienteremo. A distanza di due mesi è avvenuto». Dunque, generale Bricco, secondo lei, la strage di Porzus non è altro che un episodio di guerra civile? «Proprio così: la spedizione punitiva del 7 febbraio rappresentò l'applicazione esatta del feroce proposito manifestato a Canebola». Ma «Giacca», Mario Toffanin, comandante garibaldino della spedizione alle malghe, nei giorni scorsi ha raccontato che voi, gli osoviani, li ostacolavate in pianura e avevate ucciso due di loro. «E' falso. La verità è proprio l'opposto: erano loro a far sparire i nostri quando li trovavano isolati». Generale Bricco, i garibaldini accusavano i bianchi di essere dei traditori anche perché alle malghe di Porzus si nascondeva una donna, Elda Turchetti, Wanda, che era stata indicata da Radio Londra come una spia. E' vero? «Io su questa storia non so dare una risposta perché non conoscevo quella donna. So che si era presentata alle malghe proprio per consegnarsi ai partigiani e dimostrare che stava dalla loro parte. Ma tenga conto che io a Porzus sono arrivato solo la sera del 6 febbraio, prima mi trovavo in un'altra zona. Avrei dovuto sostituire al comando della Osoppo il capitano De Gregori. Abbiamo fatto appena in tempo a scambiarci le consegne, quando sono arrivati i garibaldini, la mattina del 7». Come sono arrivati? «Li guidava Dinamite, uno che aveva lavorato per noi e per loro. Hanno fatto finta di essere disarmati, sbandati, sfuggiti ai tedeschi in Carnia. Ma quando sono stati alle malghe hanno tirato fuori le armi, ci hanno sfilato sten e pistole, spinto nella neve. Mi hanno dato un pugno...» Generale, è vero che dalla Osoppo, nel dopoguerra, è nàta Gladio? «Credo che Gladio sia nata anni dopo dalla Organizzazione "O", che stava per Osoppo, costituita dagli osovani dopo il '45». Per quale scopo? «Premunirsi da un'invasione, tenere le orecchie dritte, stare all'erta». Lei ne ha fatto parte? «No, io ero negli alpini». Cesare Martinetti «Correvo come un forsennato sentivo le pallottole che mi entravano nel corpo Erano sicuri di avermi ucciso» vwriu eoi!.* A00 ARAGONA AltOHE BARLETTA CASUARI CAR!I)Bt muu PUAYIO GOUAftO CHtÀ MI »Cv«* cuioone KAKE KA//IM0 pmxmt B APIO 6 RINATO ROtCRTO TOMI VA HO AIO CHf AMOR MTftfO. /Tmtt IH ACCORATO AHiuw m tiftEMA /oifretÀte «et /ANGUI CA HUttftHA MAHO AM/HH* «a meno «£»««ot« on. * » t l'Orni /U«tft/t1T« WtJTi. Mm TftANAHOAHO t il. /Arginino l'Orni /U«tft/t1T« WtJTi. Mm TftANAHOAHO t il. /Arginino Il gen. Aldo Bricco, all'epoca capitano degli alpini: i cecchini lo colpirono sei volte. Sopra, la lapide che ricorda la strage