Una bussola per l'arte di Angelo Dragone

Una bussola per l'arte Conferenze Aci: Carandente Una bussola per l'arte OTORINO OVE va l'arte, oggi?». Sono in molti a domandarselo: qualcuno in astrat I to, ma spesso per far meglio i propri affari; l'artista desideroso di adeguarsi alle attese d'una situazione in cui vorrebbe trovarsi vincente e il collezionista che, disorientato dai nuovi «ismi» - che si chiamano però «minimal» e «pop-art», «op-art», «transavanguardia» ecc. - vorrebbe capir meglio come davvero vadano le cose. Da parte dell'Associazione Cui-, turale Italiana, è stata Irma Antonetto a girare l'interrogativo a Giovanni Carandente, uno degli studiosi più lucidi e informati abituato a muoversi a livello internazionale. E la sua risposta tratta dal vivo di un'esperienza vissuta in prima persona - è venuta ieri sera con l'intervento tenuto a Torino in un affollato Teatro Alfieri, per esser ripetuta oggi a Firenze, Teatro dell'Oriuolo; ed ancora lunedì 10 al Teatro Franco Parenti di Milano; martedì all'Eliseo di Roma e mercoledì al Piccinni di Bari. Il quadro è di estremo interesse. «Per fare della storia dell'arte, i fatti sono da preferirsi alle teorie. Si pensi che a trent'anni dalla nascita della "Pop-Art", ritenuta generalmente una manifestazione tipica della moderna civiltà consumistica statunitense, il fenomeno non è stato ancor storicizzato. E a ben vedere rivela la sua chiara "pura matrice europea"». Carandente, è uno dei pochi che spesso possono dire «io c'ero». Ed è importante per chi, come lui, sa muoversi sempre con occhi bene aperti e orecchie pronte all'ascolto. «E' inutile rincorrere nomi che sanno non più che di etichette - dice - ciò che conta sono gli artisti e quel che fanno». Racconta così com'è nata la Popo-art. «Trent'anni fa, al Museo d'arte della Città, a Parigi (non in America, dunque), si svolse la prima, grande mostra dedicata all'Oggetto: 487 opere di 137 autori che sottolineavano la comparsa, tra le immagini dell'arte, di cose comuni: dalla segnaletica stradale alla pubblicità, tra divi del cinema, bevande e cibi». Ma c'era stato un altro episodio. «Nel '53, alla galleria dell'Obelisco, a Roma, Rauschenberg incontra i primi "sacchi" di Burri, e compaiono anche le primissime immagini di bottigliette. Certa critica ignora però questi fatti». Né ha tenuto nel dovuto conto l'esistenza di un altro centro davvero rivoluzionario: Berlino con «Fluxus» che fin dal '62 giunge a New York dove sbarca anche Pierre Restany col Nuovo Realismo. E a New York - dove, nell'autunno del '63, Carandente si era stabilito per qualche mese - viene di riflesso organizzata la mostra «L'immagine popolare» (48 artisti) cui s'accompagnò non un catalogo, ma un disco, ormai rarissimo, con le voci, le dichiarazioni degli espositori, ch'egli ha gelosamente conservato e può farlo riascoltare. Capita di vedere la fotografia di David Smith che si dice scattata nello studio di New York. Ma Carandente riconosce in quel ritratto l'artista a Voltri con la scultura, destinata alla mostra di Spoleto, da lui ideata nel '62. I prossimi maestri? «Molti egli dice - li ho presentati alla Biennale di Venezia negli Anni 80, nelle sezioni internazionali "aperte" ai giovani "sotto i 35 anni", ottenendo la testimonianza d'una nuova dimensione dell'arte, anche attraverso film e video». E con i nomi spazia «da Nolana e Barbara Blume a Maurizio Pellegrini, con Stefano Alienti, Koons (dagli autoritratti con Ilona) e i russi Zvezdochotov e Ovcinnikpov, l'ungherese Bachman e il greco Lappas ed altri ancora. Da aggiungersi ai già consacrati, da Cucchi e Paladino a Pascali e Kounellis. E non soltanto gli astratti, ma anche Guccione e Sarnari»: senza escludere, dunque, né il paesaggio né l'uomo. Angelo Dragone